Sinner, l’Everest.. e lo Slam: stanotte il sogno azzurro- di Teo Parini

Alle 4.30 di venerdì, ora italiana, la sfida contro Djokovic

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Djokovic, ancora tu. Come alle Finals, due volte, come in Coppa Davis. Tra Sinner e la vera gloria, quindi, si mette in mezzo sempre lui, il più vincente di ogni epoca, forse di ogni galassia. Che, per la verità, sarebbe pure il contrario, per lignaggio. È Sinner a tentare di ostacolare la cavalcata del serbo perché, il serbo, è lì dove dev’essere per desossiribonucleico, quindi in procinto di addentare lo Slam numero venticinque di una carriera che costringe a coniare nuovi aggettivi di merito. Il tabellone degli Australian Open è allineato alle semifinali e ci è mancato un pelo che i posti disponibili venissero occupati dalle prime quattro teste di serie nonché primi quattro giocatori delle classifiche mondiali. Filotto mancato per colpa dello sciagurato Alcaraz, quello che a giocare a tennis è il più bravo di tutti, incappato in una giornata tremebonda al punto da impedire a Zverev di perdere una partita che al solito aveva tutte le intenzioni di gettare alle ortiche.

Così, nella parte bassa, sarà il tedesco a sfidare Medvedev che, per sbarazzarsi di un Hurckacz forte e anche un po’ sciupone, ha dovuto sudare le proverbiali sette camicie. Quelle che, invece, Sinner non ha nemmeno indossato in tutto il torneo che lo ha visto arrivare in semifinale senza aver perso un set e concedendo in cinque match la miseria di due break agli avversari. Insomma, fin qui è stato inavvicinabile nonostante la coppia russa composta da Kachanov, prima, e Rublev, poi, avesse le carte in regola per creargli qualche grattacapo. Niente, Sinner se li è bevuti con l’autorevolezza dei campioni, come si fa con una birra al bancone del bar. Ma Djokovic non è un campione, è epoca e pure epica e non lo si batte al meglio dei cinque set se non ci si inventa la giornata perfetta da contrapporre ad una sua luna, se non nera, almeno un po’ infelice.

E perfetta, parlando di Jannik, significa prendere la percentuale di prime di servizio esibita nei turni precedenti, l’unico neo, e tirarla su di diversi punti. Perché, appunto, contro il ribattitore per antonomasia, dal servizio bisogna ottenere tanto macinato per scongiurare la morte certa. Il resto è già da corsa, così com’è. Solidità mentale inclusa, che nel suo caso è tendente al robotico, tanto da sembrare lui stesso il serbo. Serbo che potrebbe, chissà, provare un certo imbarazzo nel fronteggiare un avversario che sotto quell’aspetto fondamentale non cede di un millimetro. Per il background verrebbe da pensare che in caso di battaglia punto a punto con arrivo in volata Djokovic sarebbe favorito. Troppo esperto per non fare lui l’ultimo punto al culmine di una lunga e cruenta lotta. L’anagrafica, però, suggerirebbe il contrario. Va bene essere un fenomeno ma trentasette anni, e quasi quindici in più del rivale, sono tanti che diventano tantissimi giocando contro uno che impone un ritmo asfissiante e che fa viaggiare la palla come una saetta costringendoti alla maratona. Non ci stupiremmo, quindi, di rivedere all’opera una sua versione più verticale, più propensa ad accorciare gli scambi. Anche improvvisando più sortite a rete del consueto, da meraviglioso stratega quale è. Perché non si vincono ventiquattro Slam, molti dei quali strappati a Federer e Nadal, senza la capacità camaleontica di adattarsi alla contingenza e, pertanto, Jannik dovrà anch’esso essere bravo nel cambiare pelle in corsa per non finire tritato come nella finale dell’ultimo Master torinese, quando ci ha capito troppo poco.

Peraltro, già il fatto di considerare possibile una sua vittoria rappresenta un traguardo importante, per lui e per tutto il movimento. Fondamentale, all’uopo, aver rotto il sortilegio che lo vedeva essere, prima dello scorso novembre, poco più che una vittima sacrificale. Ma i tempi sono cambiati, adesso Sinner è per Djokovic avversario vero, forse il peggiore che possa capitargli. E, probabilmente facendoci ingannare un’altra volta dal Djoker con le consuete messe in scena, si ha la sensazione di non essere di fronte ad una sua versione sublime. Quantomeno non lo è stata contro Fritz, mica Borg, che lo ha tenuto in campo quattro set e quattro ore. Ma si sa, il suo livello di gioco tende ad alzarsi proporzionalmente al valore dell’avversario e sarebbe bene non attendersi sconti. Sinner non sarà favorito, del resto chi lo sarebbe, ma il divario non è esagerato in termini di pronostico. A dirlo sono i bookmakers, gente che per necessità è abituata a vederci lungo, che separano i contendenti di un solo punto. Poco. Morale, l’attesa è quella di una partita vera nella quale importante e tendente al decisivo sarà per l’azzurro partire davanti nel punteggio – in soldoni, vincere il primo set – per non aggiungere ulteriori certezze a quelle che già possiede Djokovic a bocce ferme. Uno che, se messo nelle condizioni di giocare da lepre e non da cacciatore, lo si rivede solo dopo il traguardo.

La sensazione, che conta niente ma c’è, è che per il tennis italiano i tempi possano essere maturi, non aggiungiamo altro. Agganciato l’obiettivo minimo delle semifinali, minimo per questioni di ranking si intende, è lecito e appassionante sperare in un upgrade azzurro. Djokovic è l’Everest ma non esiste un ottomila nel mondo che non sia stato domato almeno una volta. E Sinner, della montagna, è docente universitario. Forza Jannik, scriviamo la storia.

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