Vorremmo tutti festeggiare i 29 anni di Nick Kyrgios (con lui e le sue amiche…)

Il Principe spegne le candeline

+ Segui Ticino Notizie

Ricevi le notizie prima di tutti e rimani aggiornato su quello che offre il territorio in cui vivi.

Non è dato sapersi se abbia intenzione di giocare ancora. Nel 2023, del resto, il suo bilancio è stato di un solo match all’attivo e in questo primo scorcio di 2024 non si è registrato manco quello. In compenso fa un sacco di altre cose e da qualche tempo pure il telecronista, ambito nel quale pare divertirsi un mondo. Ma in campo no, non lo si vede proprio. Nick Kyrgios da Canberra ha appena compiuto ventinove anni e l’insieme di infortuni e priorità di vita diverse dal tennis fanno sì che praticamente sia già un ex tennista. Certo, la speranza di vederlo giocare di nuovo è dura a morire ma, detto con tutto il realismo del caso, nemmeno un talento esondante come il suo potrebbe cancellare facilmente gli effetti di due anni di inattività. Servirebbe uno sforzo psicofisico che Nick non ha mai dimostrato di avere nelle corde e, pertanto, non è il caso di farsi troppe illusioni. Ma, appunto, hai dire mai.

Per quelli che gli almanacchi sono cartina al tornasole dello sport, la maggioranza bulgara dei fruitori del tennis, non sarà certo una grande perdita – Kyrgios a conti fatti non ha vinto quasi nulla – ma per chi, invece, compie lo sforzo di fare un passo oltre, il dramma sportivo è enorme. Perché nell’ultima decade, lasciando fuori dai ragionamenti Roger Federer che non è ascrivibile al genere umano, nessuno ha espresso la sua abbacinante qualità tennistica. Nemmeno lontanamente. L’australiano è in tal senso plastica definizione, nonché unità di misura, del talento, inteso come la capacità di compiere con semplicità azioni che agli altri risultano difficilissime se non impossibili. Per i bacchettoni bonipertiani del tennis, la pletora del ‘vincere è l’unica cosa che conta’, Nick è il classico esempio da non imitare perché allergico a protocolli e omologazione e poco incline a fare di un divertimento un incubo. Antitesi della famigerata cifra stilistica del tennista da copertina, quello che non mette insieme un’esternazione interessante manco a pagarlo, non rompe una racchetta neanche se fa un doppio fallo sul match point e ha il controllo robotico di sé e delle proprie emozioni.

Kyrgios, sempre facendo quel famoso passo concettuale in più, ha costituito in quest’epoca l’eccezione alla regola, la tirannia della fantasia, l’antidoto alla noia. E non per i suoi atteggiamenti sopra le righe e talvolta da spaccone, ma per la luminescenza di un tennis ricco di varietà come Paperone lo è di monete d’oro. Paradosso vivente, Nick, un fenomeno che finisce sempre per veder trionfare gente brava un terzo di lui e che, soprattutto, non fa un plissé qualunque cosa accada perché fuori dal playground c’è un mondo meraviglioso che ha il difetto di non restituire mai il tempo andato. Lui, a differenza di altri, se lo gode tutto, quindi la sera prima del match lo si potrebbe trovare ovunque, men che dove dovrebbe essere, a letto. Kyrgios, all’universo tennis, si è presentato alla stregua del baro che fa irruzione nel saloon aprendo la porta con un calcio. Battendo in sequenza, e rigorosamente al primo tentativo, Federer, Nadal e Djokovic. Più che predestinato, una sentenza. Da ventenne, giusto per certificare quel ‘posso ma non voglio’ che ha via via aggiunto mistero alla figura di un ragazzo già misterioso di suo. Un suo match è un po’ come pescare dal mazzo di imprevisti e probabilità del Monopoli o rompere il biscotto cinese per leggere l’adagio che contiene. Sabbia per le dita.

Perché potrebbe accadere di tutto. Anche di assistere alla partita forse più ricca di qualità dell’Era open come quella, persa ma chissenefrega, contro Re Roger a Miami nel 2017, quindi l’anno di grazia del basilese, a valle di tre tie-break disputati sul filo del rasoio e di balistiche mutuate dal paradiso. Figlio di Giorgios, greco, e di Norlaila, una sangue blu della Malesia, Kyrgios riesce ad essere anche nei fatti l’opposto di quel che in troppi vanno dicendo di lui con endemica superficialità. Avrà pure il piglio del bulletto, magari quando dilania una racchetta dietro l’altra o lancia una sedia in campo, ma è altresì possibile non rintracciarlo per giorni e giorni perché impegnato anima e cuore con la fondazione che porta il suo nome e il tennis nella vita dei bambini meno fortunati di lui. Oppure nella consegna a domicilio di una cesta della spesa a beneficio di anziani e malati, come nei giorni dolorosi della pandemia. Ancora, a dare una mano ai pompieri intenti a placare un incendio che sfregia la sua Australia.

Kyrgios vive di esigenze non convenzionali e, qua e là, ribadisce l’assioma per il quale ogni amante dello sport del diavolo dovrebbe essergli grato. Quello per il quale, anche nell’epoca del post Bollettieri, esiste una via intrisa di bellezza che consente di guardare tutti dall’alto. Eccezionalità, appunto, che fa scopa con estemporaneità. Nick è una droga per chi fa della bellezza un caposaldo della propria routine: non perderlo mai di vista per non perdersi il quarto d’ora di allineamento dei pianeti. Prima che i Djokovic del mondo riprendano a tiranneggiare. È fatto così, un ineffabile cane sciolto del tennis, la migliore ragione possibile per dedicare un paio d’ore alla tivù.

Tanti auguri, Nick.

■ Prima Pagina

Ultim'ora

Pubblicità

Ultim'ora nazionali

Pubblicità

contenuti dei partner