Gli anni di Cristo: chi ridarà indietro la vita a Beniamino Zuncheddu?

Una condanna all'ergastolo per strage. Il più grave errore giudiziario nella storia della Repubblica italiana ripercorso dal nostro Emanuele Torreggiani: 33 anni da innocente dietro le sbarre.

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L’uomo, Beniamino Zuncheddu, è rimasto anestetizzato sul tavolaccio della sua cella per trentatré anni con una condanna all’ergastolo per strage. All’epoca, 1991, il Beniamino, pastore di ventisette anni, fu accusato di aver assassinato nel Sinnai 3 persone: Gesuino Fadda, il di lui figlio Giuseppe Fadda ed Ignazio Pusceddu, pastori anch’essi.

Le famiglie Zuncheddu – Fadda erano in lite per l’abbattimento di alcuni capi di bestiame. Un testimone presente e rimasto ferito durante l’agguato, in un primo interrogatorio dichiarò che non aveva riconosciuto lo sparatore dal volto coperto di passamontagna, poi ritrattò la dichiarazione a accusò direttamente il Benimino. Arresto, processo, condanna.

A nulla valsero le dichiarazioni dello stesso che asserivano egli fosse da una ragazza a venti chilometri di distanza. Il poliziotto, che indagava, aveva mostrato al testimone una foto del Zuncheddu, la cui famiglia era in lite coi Fadda, e così il destino del Beniamino si è sigillato per trentatré anni. Il Beniamino, sempre dichiaratosi innocente, ha trascorso la sua vita tra le carceri di Badu’e Carros Buoncammino e Uta.

Tre anni fa, il suo avvocato difensore, un professionista autentico, ha chiesto la revisione del processo producendo motivazioni concrete, ha incocciato in un magistrato autentico, e, pochi giorni or sono il procuratore generale ha sentenziato la libertà allo Zuccheddu per non aver commesso il fatto.

E Beniamino è stato scarcerato. Si tratta del più grave errore giudiziario nella storia della repubblica italiana. Nessuno pagherà per questa vicenda, né il poliziotto eufemisticamente sbrigativo, né la sciatteria somma dei magistrati che hanno condannato un innocente lungo tre gradi di giudizio.

Il nostro, entrato in gattabuia a ventisette anni se ne esce a sessanta. Tutta la vita cristallizzata dentro quattro mura ed una grata. Da innocente. Avrà un risarcimento. Forse.

Ma come quantificare una vita rubata? Non so. Qualche solone saprà. Naturalmente le potenti associazioni di categoria non hanno detto nulla, il guardasigilli non gli ha telefonato e neppure le alte istituzioni di questo basso paese.

La sua vicenda non polarizza gli shampisti della politica. Pure, ad oggi ch’è fine mese, già tredici detenuti si sono impiccati in cella. Non c’è male come inizio, tutto sommato, tredici problemi in meno.

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