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Caritas Ambrosiana in due serate tra Inveruno e Robecco sul Naviglio

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INVERUNO – Cosa capiamo o sappiamo davvero della gente che sbarca (o non sbarca!) dal mare sulle nostre coste e poi, per il tramite dei tg, dei media, delle le parole, spesso grosse, dei politici in campagna elettorale, nelle nostre case ?

Vediamo solo la barca, il mare, casa nostra o ci viene in mente di gettare uno sguardo su questa gente quando si imbarca, dalle coste di altri paesi e continenti, tanto attigui ai nostri ma mai veramente vicini? Inforchiamo un binocolo, proviamo a vederne i volti, leggerne le storie le provenienze le motivazioni? E, spingendo lo sguardo un po’ più in là, riusciamo a scorgere il tragitto, la lunghezza del cammino, la profondità del deserto, la vita nei villaggi? Gli affetti e gli usi, le violenze ed i torti? Le economie e la nostra impronta di sfruttamento delle risorse? La progressiva desertificazione di una certa fascia geografica (vedi alla voce Sael) dovuta ai cambiamenti climatici?

L’Africa con i suoi villaggi e le impronte coloniali, anche italiane; un continente di cui dovremmo avere qualche nozione e familiarità, facendo parte anche della nostra storia (persino coloniale), della nostra economia, della nostra tecnologia e della nostra alimentazione; persino nei mazzi di fiori che destiniamo affettuosamente a persone care c’è spesso una impronta africana!

Conoscere, indagare, avere quantomeno delle coordinate di riferimento è l’unica maniera per poter davvero valutare, soppesare, scegliere ed agire. C’è una umanità in gioco : la loro e la nostra.

Nella settimana che ha preceduto la Giornata Internazionale del Rifugiato e del Migrante, sul territorio dell’Est Ticino si sono svolte due iniziative di cui qui vogliamo registrare, marcare traccia in una breve di cronaca. Due serate incentrate proprio su questi temi, “il tema”, verrebbe da dire, del nostro tempo: il fenomeno delle migrazioni dall’Africa.

A prendersi l’onere delle serate sono stati due comuni, Inveruno e Robecco sul Naviglio, insieme alla Caritas Ambrosiana e con partner locali: l’Anpi di Inveruno e Cuggiono, le Caritas parrocchiali.

A sostenere quotidianamente, invece, l’onere della conoscenza, dell’indagine, dell’approfondimento, dello studio (anche sul campo), oltre alle associazioni umanitarie (che si fan carico anche delle azioni), alcuni giornalisti:  Paolo Lambruschi de L’Avvenire ed il giovane freelance Francesco Floris (L’Inkiesta, Redattore Sociale ed altri), per esempio.

Due serate contigue nel tempo, contigue nei territori ed anche per i focus.

Giovedì sera – il 26 settembre – ad Inveruno, Paolo Lambruschi ha mostrato i paesi africani da dove tutto comincia; ha narrato la gente, le fughe da indigenza e violenza; i bambini ed i ragazzi senza genitori e genitori senza più famiglia; il lavoro delle Ong in loco: le cure sanitarie, il tentativo di scolarizzazione e resistenza; ma poi inevitabili aggressioni armate, distruzione; scappare, la marcia attraverso il continente, i campi profughi, ove le persone per anni sostano, famiglie in pezzi, nessun orizzonte, la flebile speranza di un “visto”, una registrazione per poter ripartire. Ripartire verso dove? Verso i paesi più a nord, verso la Libia magari. Quella Libia che dopo Gheddafi è tornata tumultuosa e ribollente, senza legge; In Libia per lavorare da schiavi, per esser imprigionati in “campi” ove vige l’orrore. Subire questo orrore, le torture… eppure ancora, chi sopravvive, magari dopo anni in queste condizioni, ancora la speranza: imbarcarsi, partire; rischiare la morte in mare, fuggire.

La serata di venerdì 27 a Robecco ha quasi ripreso il discorso da lì, dove è stato lasciato da Lambruschi; Francesco Floris si è concentrato proprio sugli aspetti “tecnici” : cosa è la missione “Frontex”? perché e per quali trattati tra stati (europei e nord-africani) le persone vengono “trattenute” in Libia? Quali sono le leggi ed i confini del mare? Chi sono i trafficanti di esseri umani? Cosa sono e cosa fanno le Ong? E così via.

Capire, appunto; approfondire, sapere. Non già dalle sensazioni e dalle propagande, bensì da fonti dirette: persone, giornalisti e volontari, che laggiù – in quello che Conrad avrebbe chiamato “l’orrore“, “il cuore delle tenebre” (Heart of Darkness) – ci sono stati ed hanno interagito.

Perché sottolineiamo questi due incontri ed elogiamo la volontà di chi li ha organizzati? Perché da troppo tempo non si fa nulla per informare “in diretta”, in platea ed in spazi pubblici. Fuori dagli schermi, fuori dagli slogan. “dal vivo”, come si diceva una volta.

Valore aggiunto delle serate, l’indicazione di un “che fare” ; quella domanda che rimane in gola a tutti noi rendendoci conto di quanta impotenza di fronte all’enormità di questi fenomeni e della sofferenza che li accompagnano. “Aiutiamoli a casa loro”, o anche “a casa nostra”. Aprire vie legali, umanitarie, solidali; salvarne uno per salvare tutti. Si può! Il progetto Caritas di ‘corridoio umanitario’ (è proprio la definizione) si basa sulla carità e buona volontà delle singole persone. Grazie alle Ong in loco ed alla Caritas da noi, stabilire ponti di accoglienza personale. Sì, in casa nostra. Documenti, accompagnamento, viaggio aereo e sbarco presso una famiglia. Come una adozione a distanza che diviene ravvicinata. Ad Inveruno abbiamo avuto la testimonianza di una inverunese, tra le prime aderenti in Italia, che ha accolto un giovane uomo, presente in sala e che oggi è un giovane uomo in gamba e desideroso di restituire qualcosa di ciò che ha ricevuto per il bene di quello che potrebbe già essere il suo Paese.

Per informazioni su come attivarsi rivolgetevi ai Centri Caritas delle vostre cittadine. 

© Alessandra Branca – 2019

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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