Il ritorno del Magnifico ‘diamante’ Musetti. E domani, sfida con Alcaraz..

Perché se nasci Musetti, allora..

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Non ne azzeccava mezza ormai da mesi. Però il talento è come i diamanti, per sempre, e prima o poi i depositari trovano sempre il modo di tirarlo a lucido. Lorenzo Musetti, nell’epoca di Sinner, Berrettini e compagni, è per distacco l’italiano più talentuoso. Che non significa il più vincente, significa più bravo a giocare a tennis e ciò può tranquillamente non essere un plus nell’evoluzione odierna della disciplina, resa troppo democratica dalla tecnologia degli attrezzi e da qualche scelta umana legata alla costruzione dei playground. Gioca il tennis qualitativamente migliore perché capace di produrre la maggior quantità di soluzioni possibili con la semplicità agli altri preclusa, che poi altro non è che la definizione di talento. Pensare, mettere in pratica e poi risolvere quesiti complessi come bere un bicchiere d’acqua. A onor del vero, la strada del talento, della varietà e della fantasia è la più tortuosa per scalare la montagna del tennis. Molto meglio essere competenti in poche cose, farle con sicurezza granitica e ripetitività inesausta, con il paradosso che porta giustamente a considerare financo uno svantaggio il possesso di un ventaglio di opzioni troppo ampio. Più assi in mano, più possibilità di usarli male. Più opzioni, più possibilità di fare la scelta sbagliata. Il tennis contemporaneo questo è.

Ma se nasci Musetti tutti questi ragionamenti lasciano il tempo che trovano, questione di vocazione.
Un po’ come la coppia Aykroyd-Belushi, quelli in missione per conto di Dio che hanno visto la luce. A rendere complicati i piani c’è pure la questione della fiducia che, come una candela, si consuma sconfitta dopo sconfitta e che sta al tennis come la benzina per il motore, è propulsione. Quando manca sono dolori, perché l’impressione disagevole che si prova in campo, nonostante gli sforzi per sgombrare la mente dalle nuvole, è quella che, comunque, il match finirà per andare male e male andrà davvero. Un loop dal quale è difficile venirne a capo, difficilissimo se sei come Musetti, per i motivi tecnico-tattici di cui sopra e le relative implicazioni psicologiche. Così, non è affatto strano che il giocatore meraviglioso che metteva in riga Alcaraz, peraltro nella sua versione migliore, in finale ad Amburgo e scalava le classifiche mondiali fino al numero quindici possa perdersi in un amen senza più raccapezzarsi. Finendo per perdere un match dietro l’altro contro giocatori che, con rispetto parlando, fanno questo mestiere più per la penuria generale che per la qualità che sanno esprimere.

Normale, del resto il sempre compianto Robertino Lombardi liquidava l’annosa questione definendolo lo sport del diavolo. Un tetris, dove o tutto è a posto o è tutto sbagliato. E per Lorenzo, negli ultimi mesi, di incastri precisi ce ne sono stati davvero pochi, tanto da alimentare nei tanti detrattori, di un ragazzo che ha il pregio di essere sempre un anticonvenzionale allergico all’omologazione, le solite teorie infantili del vinci sei bravo/perdi sei scarso. La dicotomia dell’incompetenza, nugoli di appassionati ma anche di sedicenti addetti ai lavori che salgono e scendono dal carro alla velocità della luce. Come se un genio come Musetti avesse potuto disimparare l’arte. Infatti, succede che una decina di giorni fa a Lorenzo e alla compagna Veronica nasca Ludovico, il primogenito, e che la primavera del tennis sposti i riflettori sul rovente cemento nordamericano, Miami nello specifico. E il vento cambia.

Accreditato della ventitreesima testa di serie del tradizionale appuntamento del Miami Open, il neopapà fa il suo esordio contro l’onesto Safiullin che dispone senza grandi patemi d’animo, ed è già una buona notizia. Una rondine non fa primavera, men che meno nello sport, ma il secondo turno che gli viene proposto è di quelli tosti, tra i peggiori. Perché la racchetta incrociata questa notte è quella di Shelton, il ragazzone che è prototipo del tennis statunitense. Quindi, predilezione per il cemento outdoor, fisico da baywatch, servizio e dritto che fanno i buchi nel pavimento, spocchia di uno dei famosi nemici d’oltreoceano di Bud Spencer nelle pellicole anni Ottanta. Insomma, una brutta bestia e una prova del nove decisamente significativa. Bene. Muso fa il Muso, quindi plasma tennis come creta, e il ragazzone di casa – Shelton è nato in Florida – con più muscoli che fosforo è rimandato a settembre. Una prestazione, quella dell’azzurro, che non si vedeva da due anni. Viene da sé la sua soddisfazione alla stretta di mano finale e pure la nostra, noi che non abbiamo mai smesso di essere visceralmente innamorati di un tennista che dà del tu alla pallina alla stregua dei più grandi della disciplina e che ci ricorda quanto possa essere meraviglioso uno sport che, vivaddio, non vive di solo Djokovic.

Ciò che, però, ci rende ancora più euforici è l’imminente assalto di Lorenzo al più bravo di tutti, Carlitos Alcaraz. Un altro che, seppur in misura diversa, da poco si è rimesso sui binari a lui più congeniali, quelli che conducono alla poltrona del numero uno. Ci perdonerà il formidabile Sinner, l’antitesi vincente del toscano, ma, con Kyrgios a fare altro nella vita e Bublik intento a litigare con gente a caso e per i più bizzarri motivi, la sfida all’epocale spagnolo portata da Musetti è probabilmente la pietanza più prelibata del ristorante-tennis in questo momento storico. Quale somma complessiva di talento più alta che ci sia.

Tuttavia, non essendo abituati a vedere tappeti, sottolineiamo come sia ancora presto per cantare vittoria. La ricostruzione del tennis dell’azzurro è appena cominciata ma, considerato che ogni viaggio comincia sempre con un passo ed il primo rischia di essere il più complicato, sentiamo di essere ottimisti. Spesso ci si dimentica che a vent’anni, sempre ammesso di non essere Nadal, è davvero difficile essere dei robot e non cadere nell’alternanza degli alti e bassi che contraddistinguono un’età meravigliosa. Nell’attesa di metterci in poltrona per godere dei trucchi che Musetti ed Alcaraz estrarranno dai rispettivi cilindri, chiosa finale dedicata ad altri due azzurri che, sempre a Miami, stanno scrivendo pagine importanti. Uno, manco a dirlo, è Jannik Sinner, la cui autorevolezza è ormai una consuetudine, tanto da far sembrare una mezza sorpresa il fatto che possa aver smarrito per strada un set contro il tutt’altro che banale Griekspoor. L’atro, infine, è Matteo Arnaldi, la cui crescita professionale è davvero precipitosa. Dopo aver rispedito a casa Bublik e Shapovalov, due personcine con una mano baciata dagli dèi e la testa che fa qualche viaggio di troppo, se dovesse sconfiggere anche Machac si regalerebbe il quarto di finale di un ATP 1000 proprio contro Jannik.

Che dire, bravi tutti gli azzurri. Soprattutto nell’aver ridato ossigeno ad un movimento, il nostro, che non più tardi di due anni fa ancora si vedeva costretto ad aggrapparsi alle lune di un Fognini splendido ma ormai a fine corsa. Bentornato Lorenzo, non serve dire quanto tu ci sia mancato. Torniamo a divertirci insieme..

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