Roberto Vecchioni live a Lugano. Di Monica Mazzei

Infinitamente innamorato. Vecchioni è uno dei pochi cantautori veri rimasti: ci canta e parla di se stesso, è vero; ma lo fa narrandoci la società dal punto di vista di un osservatore che sa che l'unica consolazione che a volte ci rimane, è la poesia.

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Il cantautore, accompagnato da Massimo Germini e Lucio Fabbri, approda per la prima data del 2024 a Lugano, e annuncia una data conclusiva sempre nella città ticinese, per il mese di dicembre.

Roberto Vecchioni è il cantore della poesia e della parola (non per niente, a quest’ultima ha dedicato una canzone, “Parola” appunto), un amore fatto di tutto il sentimento che con essa si può esprimere.
Un amore infinito, come il nome del suo attuale tour, per questa particella scaturita dalla mente umana, ‘la più grande invenzione’, come spesso ripete.

“Tra il silenzio ed il tuono”, verso di “Chiamami ancora Amore” con la quale vinse Sanremo nel 2011, è il suo libro appena uscito per Einaudi, con il quale firma la nuova testimonianza di questo suo amore.

Una canzone che, come ci narra dal palcoscenico, nacque al telefono con uno dei suoi autori storici, in una notte passata in albergo, nel quale Vecchioni era arrabbiato per fatti politici di quei giorni. ‘Questa maledetta notte dovrà pur finire’, è un’altra frase simbolica di quel testo, che dettò di getto.

Del libro invece ama spiegare che il titolo rappresenta la vita interiore, la coscienza e lo spirito (il silenzio) e la vita esteriore ed il dinamismo (il tuono) dell’essere umano. Il protagonista ne è un se stesso che fin da piccolo manda lettere al proprio spirito, definendolo come un ‘nonno’, ma in realtà, una parte del sé. Da qui in poi, si snoderà una sorta di viaggio fatto di riflessioni sui vari aspetti che compongono la mente e l’animo umano: l’arte, la cultura ma anche le scienze… Il volume contiene addirittura un tema che il professore svolse alle elementari, un tema fantasioso incredibilmente scritto bene per quell’età.

Recentemente però Vecchioni è stato in un certo senso ‘chiamato’ ad esprimersi sulla manifestazione per la pace di giovani in Italia: amatissimo dai propri studenti, non poteva non provare rammarico e dolore per questo fatto.
Ha fatto presente che sappiamo benissimo cosa rappresentino i manganelli e la cosa più terrificante, è che anche lui sia ben conscio di come la libertà di espressione sia ormai così perseguita da non poter più pronunciare ‘quella parola’ alla quale tutti abbiamo pensato…

“Cosa si può ancora dire, oggi?”, si è chiesto anche sul palco svizzero, pensando con rammarico all’odierna censura, la sera del live a Lugano. “… Soprattutto senza che ci vengano dati secondi fini…”, ha aggiunto.

Nel live a Lugano del suo “Infinito Tour” che quest’anno ha aperto proprio nella Svizzera italiana e dove conta anche, come ci ha anticipato, di concluderlo a dicembre, perché ama riamato il pubblico luganese, ha ripescato dal suo repertorio brani che non cantava più da decenni. Ha ripercorso le sue memorie più lontane, raccontando aneddoti come quello di quando finì in galera, con un’accusa infondata: l’aver dato uno spinello ad un ragazzo. Oggi ne ride, perché trascorse quella nottata in una cella spoglia, nella quale compose, subito ispirato, nuovi versi.

Di una cosa però è certo e lo ha dichiarato con fermezza, ricollegandosi ancora all’aneddoto sullo spinello: droga e alcool non rendono artisti, distruggono solo la persona.
“La mente è l’unica cosa che serve per diventare un artista vero”, ha poi continuato: “L’adrenalina te la danno la cultura e le emozioni, non la droga”.
“L’artista non ha bisogno di essere maledetto per essere tale”.

A Vecchioni è da poco venuto a mancare uno dei quattro figli.
Non sa dire se abbia dei rimpianti per le volte che non è stato presente nella loro vita: sapeva di avere una missione e la sua passione per la musica ed il suo desiderio di comunicare al mondo ciò che aveva dentro, lo ha portato via per lunghi periodi. Alla fine si è detto che ai figli ha dato le cose più importanti: sogno e gioco.

Ad Arrigo, il figlio scomparso circa un anno fa dopo una lunga sofferenza, ha consacrato il verso di una propria canzone, di solito dedicato all’artista Vincent Van Gogh: ‘… Il mondo non si meritava un tipo bello come lui…’. Adesso è spesso a lui che pensa quando lo pronuncia. Arrigo lo sente sempre qui, accanto alla madre e a lui.

“Ti insegnerò a volare”, è il brano che ha inaugurato la serata, un testo che commuove il cantautore, dedicato a quella lotta contro il destino ricevuto da una persona come Alex Zanardi, un guerriero nato, certo; eppure, nella commozione che gli vela lo sguardo, io leggo anche un pensiero per il figlio scomparso, che le limitazioni e sofferenze della disabilità ha ben conosciuto. Di lì prende avvio quell’insegnare a volare con il sogno, perché la mente è sempre libera da tutto.

Ricomincia poi ad addentrarsi delle falde dell’amore, Vecchioni, con il suo brano “La mia ragazza”, che celebra l’adorata seconda moglie Daria Colombo, quella che gli ridiede fiducia ed entusiasmo verso il sentimento vero e puro.
“L’amore non ci dà verità, l’amore ci dà però certezze”, ha dichiarato d’improvviso, come in un mantra, e certamente pensava ancora alla consorte.

Il mestiere di vivere è quello che si fonde con la propria attitudine ad essere ottimisti o pessimisti…
A tal proposito, Vecchioni ha proposto il monologo dedicato ad Antonio Ranieri che, nel 1836, nella Napoli di quel tempo, respirava tutta la propria rabbia per una vita che non aveva mai ricambiato il suo amore, donandogli uno stato fisico portatore solo di sofferenze.
Eppure egli trovò la forza di amare ancora più forte la vita, grazie alla compagnia del suo amico Giacomino in una città brulicante di colori e profumi.

Commenta ulteriormente questa umana condizione, ricordandoci di aver sempre amato i perdenti: “Perdere è un fatto contingente”, dice, “Non ha nessun senso definire una vita in base al fatto di essere perdenti o vincenti. Dentro lo sai che stai sempre vincendo tu”.

E sono parole bellissime per tutte le persone che sanno che perderanno le loro battaglie perché non hanno speranze, ma sanno che sono chiamati lo stesso a lottare in questo universo che è la vita. Pensieri che sfumano sulle note di “El Bandolero stanco”.

Non manca durante la serata l’esaltazione per la figura della donna, nel brano che ne omaggia una immensa per coraggio e spirito di sacrificio, ed è con “Cappuccio rosso”, che evoca il ricordo della curda Ayse, che lottò fino alla fine per il proprio popolo.
Roberto Vecchioni si commosse per ore, nel dedicarle i versi della canzone.

Durante la serata non è mancato il pezzo che tutti aspettavamo e che ha fatto levare in piedi la platea in una corale ovazione: “Sogna ragazzo, sogna”.

Il live si conclude con l’energica “Samarcanda”, datata 1975 e che ancora riesce a far ballare e cantare il pubblico dei suoi concerti.

A cura di

Monica Mazzei
freelance culturale
[email protected]

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