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L’inverno- e la solitudine- di Silvio Berlusconi. Di Emanuele Torreggiani

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

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Cinque anni fa, un mercoledì d’un freddo marzolino pungente, un ristorante qui nei dipressi, poco oltre le ventuno. A un chilometro circa da Gernetto. Ceno con mia madre pronta agli imminenti novantadue. Una serata men che quieta, una dozzina gli avventori.

Il fuoco del camino ogni tanto scoppietta nel silenzio in bisbiglio. Ed ecco che i tre camerieri si affrettano a preparare due tavoli, uno da due e l’altro da quattro. Nel buio, dagli ampi finestroni che s’aprono al giardino interno, un lampeggiare azzurro. Un van ed un’auto. Dall’ingresso un tramestio. Voci. Mia madre, di spalle, mi chiede cos’è. Sto guardando. Buonasera a tutte le signore e a tutti i signori. L’è rivaa, fa mia madre. Ogni tanto viene qui. Parte un applauso. Presidente si grida dai tavoli. Era lui. Silvio Berlusconi in compagnia della sua penultima consorte, e quattro uomini di scorta. Doppiopetto, camicia collo all’italiana e cravatta a pois. Saluta ad ogni tavolo, porgendo ad ogni signora una rosa rossa con un nastro tricolore al gambo, gli uomini gli allungano sguaiatamente seduti la mano. Mi alzo per saluto e scorgo sulla guancia all’altezza dello zigomo, sotto il maquillage, la traccia della ferita ricevuta. Porge a mia madre una rosa, lei gli dice che si sono già incontrati in questo ristorante e che è prossima ai novantadue e di rose ne vuole tre, perché la trinità porta bene. Il cavaliere esprime il suo gesto di giubilo a braccia aperte e prende la mano a mia madre che gliela stringe e gli dice che ha la mano fredda e che deve trovare una donna che gliela scaldi per davvero. E lo guarda fisso con l’occhio di una donna che sta per finire di vedere tutto. E lo sa. E Berlusconi le sorride e la ringrazia e le augura buona serata, e lunghissima vita. E in quel sorriso l’impronta di un bimbo rimproverato per la marachella scoperta. Ritorna al tavolo dove la penultima consorte siede con aria svogliata consultando il telefonino. Poco dopo, ad ogni tavolo, viene deposta una bottiglia di champagne offerta dal presidente. Mi raccomando bevila tutta sino all’ultima goccia, mi raccomando perché senò fiocca. Ed è esattamente quello che farò. Figuriamoci, se non vedi il fondo non sei sazio. Perché gli hai detto così? chiesi. Perché è vero. Non vedi com’è stanco. Tutte quelle lì gli stanno addosso per i soldi. Quelle lì, per mia madre era la somma insolenza. Ma lui è cosi, non si può cambiare la natura. E non farmi parlare di te che solo ad aprire il libro si bruciano le mani. Ti rendo noto che hai qui due bottiglie. La prima e la seconda. Siamo apposto. Solo sua figlia gli vuole bene per davvero. Per quello che è. Solo la figlia. Lui è così. Comunque meglio lui di tutti i ciaparatt della politica e degli ipocriti che gli stanno intorno per farsi mantenere. Stai attento che se ti alzi e ti vedo sbandare chiamo un ncc o un taxi o il maresciallo. Chiama il presidente, è lì. Se glielo dico mi fa portare a casa sicuro. Rientrando a prima notte mi disse che era un uomo solo. E anche questa solitudine era la sua vera natura.

Emanuele Torreggiani

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