Tu stai servendo, ma non sei un servo. Addio a Stefano Piscopo, inarrivabile maitre di sala. L’eleganza del gesto. Anzi, del beau geste.

Magenta, i rom di via Del Carso e il mondo che va all’incontrario (senza Vannacci..)

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Tu stai servendo, però non sei un servo. Servire è l’arte suprema; Dio è il primo servitore. Dio serve gli uomini ma non è servo degli uomini (Roberto Benigni).

“Citare uno dei miei più illustri compaesani contemporanei mi sembra la maniera migliore per cominciare a parlare di un’arte suprema come quella del maître. Questa breve frase riesce a spiegare il valore e l’importanza, la nobiltà e il ruolo della nostra professione. E sottintende una domanda: torneranno i tempi in cui il maître ricopriva il ruolo dell’anfitrione? Un ruolo in cui accoglienza, eleganza e professionalità costituiscono le qualità minime richieste? Cari colleghi, bisognerebbe proprio ripartire da questa domanda. Nobilitiamo la nostra professione, esploriamo e valorizziamo il messaggio “Umili, servili ma a testa alta!” (…)

Parlava e ascoltava, avviava un dibattito, interagiva offrendo un servizio che, senza leziosità o pretese, restituiva una luce nuova e positiva all’intero ristorante. In quell’atteggiamento io ci ho visto del cuore, ci ho visto una passione e tanta maestria. E queste sono cose che, non solo si notano, ma ti restano addosso – non a caso sono qui a raccontare di un pranzo che poteva finire nel dimenticatoio come moltissimi altri ed è invece diventato un memorabile pranzo.

Voglio ancora ripetere quelle parole citate all’inizio: il nostro lavoro è un’arte! E, in quanto arte, esprime l’animo dell’artista. Il nostro mestiere dev’essere la manifestazione delle nostre passioni, e in questo fa di noi degli artisti, protagonisti del nostro settore. Impegnamoci quindi a migliorare nella nostra “arte del far bene” abbracciando proprio quel pizzico di follia che ci rende creativi e a volte fuori dalle righe”.

Carlo Tofani (Identità Golose, 2013)

Da grande intrattenitore di persone, di momenti, di situazioni, il nostro ultimo incontro non potè avvenire al di fuori di un bar.

Gennaio 2023, bar Maino. Io seduto nei tavoli più interni, Stefano a fianco del bancone, tavolo riparato. Alza la mano ma scorgo un che di anomalo. Mi confessa la malattia, un monte terribile e impervio, con lucidità e forza. Rimango piuttosto agghiacciato. Non sapevo. Mi impegno a cercare di catturare l’attenzione di un luminare. Non ci riesco. Resta, mi resta, un’amarezza dal retrogusto che non se ne andrà mai. Come un Yquem del 1964, ma molto meno dolce. Ha l’odore del fiele. Anche oggi.

Stefano Piscopo classe 1966, compagno di classe di mia sorella al Liceo Bramante. L’icona del sorriso. A 26 anni, correva il 1993, lo rivedo scendere in piazza a Robecco da un fuoristrada. Elegante senza bisogno di formalità. Erano gli anni della Corte del Re. Locale ricercato senza leziosità nel difficile post 1992 del nostro lembo di provincia. Eleganza e contenuta sfrontatezza. Vitalità. Joie de vivre. Luci rutilanti, alla bisogna soffuse, anche dopo le 23.

Lo ritrovo secoli dopo, quando diventa partner di questo piccolo giornale. Quasi 25 anni dall’ultima volta, senza che fosse cambiato alcunché. Certo, la fisionomia, la figura. Il peso del tempo. Ma solo in quel momento, mentre lo osservo e ne scrivo in occasione di due pranzi da favola (in una villa da sogno di Sedriano, paese tutt’altro che onirico, e soprattutto nel cuore della splendida cascina Cambiaga di Casterno, dove Massimo Oldani ha ricreato qualcosa di talmento bello da struggere lo sguardo) Stefano Piscopo esercita semplicemente, ma al meglio, la propria arte. Servire, sovrintendere, gestire la sala. Possedere, la sala. Un sapiente mix fatto di sorrisi, parole, gesti, soprattutto di mani. Le mani- del maitre, del barman, dello chef, del sommelier- sono il segreto di questo mestiere che richiede la dedizione, il sacrificio, la sofferenza dell’applicazione. Ma che deve essere sovrintesa, sempre, dal sorriso.

Il mestiere, quello vero, non si impara. Si eredita. E Stefano, come descrive magistralmente (more solito) Emanuele Torreggiani nel pezzo che segue, l’aveva ereditato da papà Peppino.

Ricordo l’orgoglio filiale quando condivise il pezzo nel quale parlammo di Peppino Piscopo e dell sua saga di magistrale barman. Rimasi stupito da quella devozione. Peppino Piscopo feci in tempo a vederlo seduto durante una delle cerimonie cui Stefano sovrintendeva con la classe di uno Zar. Appagato il padre, nel vedere la maestrìa del figlio e la crescita del suo nipote Filippo. Smagliante, Stefano, nel volgere l’occhio sempre attento (e capace di cogliere ogni particolare della sala, a intercettare ogni bisogno) al suo papà, appagato e cosciente di averlo soddisfatto. Buonasera signori, benvenuti. Tutto bene? Fabrizio quella ragazza al tuo fianco si è sposata con me, nel senso del catering. Ciao ragazzi, come state? I grandi maitre, gli imperiosi maitre di sala, sanno interloquire contemporaneamente con dieci persone. Intanto hanno già sparecchiato, o fatto sparecchiare, portato vino bianco nella glacette, rimpinguato il rosso, sostituito la posata caduta per terra, ‘sincerato’ che i commensali vegetariani avessero riceuto la spigola o la ratatouille.

Nel ricordo di Stefania Grechi, già liceale e già peralzina

Stefano Piscopo era uno di quelli che non fabbricano la classe del mestiere e la distillano per eredità. Quindi adesso tocca, a tutti noi, essere vicino a chi ha condiviso la sua avventura sino alla fine (ad agosto, sui social, cercava ancora dei collaboratori per la sua azienda mentre il male lo consumava giorno dopo giorno), soprattutto a Filippo. Che porta con sè l’eredità, pesante, di due montagne da scalare. Nonno Peppino e papà Stefano. L’aiuteremo tutti. Ma lui sia sempre, perennemente orgoglioso di essere stato- e di essere- nipote di Peppino Piscopo e figlio di Stefano Piscopo. Generazioni, decenni, di servizio e di stile. Di eleganza. Di sapiente arte del servire. I banconisti come noi, impenitenti perdigiorno (e soprattutto perdinotte) di bar e ristoranti, lo sanno meglio di altri. So long per te Stefano. A buon rivederci. Non sai quanto mi ha addolorato, quel mancato appuntamento. Cerco di restituertene, se possibile, una parte. In alto i calici per te, ineffabile maitre di sala.

Del resto.. Servire è l’arte suprema; Dio è il primo servitore.

Fabrizio Provera

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