Italrugby a Cardiff: passa il treno della storia..

Oggi pomeriggio la sfida col Galles

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Calmi, stiamo calmi. Con la calma, competente e ordinata, che gli azzurri ci hanno messo nel difendere il fortino per venti e più ondate durante l’ultimo assalto scozzese sabato scorso a Roma. Calmi, perché al Millennium Stadium significa andare ad esplorare un inferno rosso e perché i gallesi saranno incazzati come iene per un Sei Nazioni fin qui nefasto. E perché, è vero, abbiamo fatto un passo in alto scavalcando un gran bell’ostacolo ma non abbiamo mica spianato l’Everest e il movimento gallese è sempre un passo avanti a noi. Quindi, calmi perché a farsi prendere la mano ci si fa male da soli. Con questo non vuole dire essere remissivi, a Cardiff si va per vincere e non più per uscire dal campo a testa alta, perché quanto ha detto il torneo nelle sue prime quattro giornate ci obbliga a farlo, ma con il piglio di chi sa troppo bene che nel rugby ogni centimetro di campo costa sangue e sudore e nessuno è mai disposto a scansarsi.

Che a ben pensarci è già una gran bella conquista perché, per noi che da ventiquattro anni febbraio-marzo vuole dire Sei Nazioni, non dimentichiamo la sgradevole sensazione di vedere avversari e tifosi prendere il match con l’Italia alla stregua di un giorno di festa nel quale infliggere una sonora lezione, senza nemmeno sudare più di tanto e con il ghigno stampato sul volto che più umiliante non si può. Ecco, da quei venti minuti di difesa epica con la quale abbiamo distrutto le certezze francesi a casa loro è nata l’Italia che poi ha domato la Scozia, in quella che è la partita di maggior qualità rugbistica della nostra storia, e che costringe tutti gli avversari che non siano Irlanda, Sud Africa e Nuova Zelanda a preoccuparsi di noi. Galles, ovviamente, incluso. Ma cos’è successo di così speciale a pochi mesi da un mondiale che ci aveva sbattuto in faccia tutta la durezza del rugby granitico nelle sue gerarchie?

I cambiamenti sono sempre processi lunghi che affondano le radici diverso tempo indietro, figuriamoci nel rugby, dunque sarebbe sbagliato dare per intero il merito alla nuova gestione tecnica. Crowley, il predecessore, ha fatto un gran lavoro, chi lo nega è in malafede, insegnando agli italiani un gioco arioso, pieno di fantasia e spregiudicato nell’uso delle mani che passano l’ovale. È come se avesse messo in testa ai suoi giocatori che la competenza non fosse necessariamente prerogativa degli altri e che un minimo di arroganza nel provare a imporre il nostro gioco ci era concessa. Silurato in tutta fretta, gli si deve molto del macinato messo in cascina. Quesada, il coach attuale, ha chiuso il cerchio con un’intuizione che può sembrare banale ma non lo è per nulla. Ha ricordato a se, ai ragazzi e a noi tifosi, un concetto importante: siamo dei fottuti italiani.

Quelli del catenaccio di Nereo Rocco e di Claudio Gentile che azzanna le caviglie di Maradona. Quindi, per lo champagne c’è sempre tempo ma prima si difende e si placca fino alla morte. E se l’avversario scavalca il Piave, perché nella guerra vince una battaglia, lo si ricaccia indietro placcando ancora di più. L’argine eretto da ragazzi con la bava alla bocca, l’ossigeno nei muscoli e il fosforo in libera circolazione che ha inchiodato la Scozia alla sconfitta, senza crepe fino a costringere l’avversario a chinare il capo, è un frame da far studiare nelle scuole del rugby per quanto sia stato impeccabile. Pagina trentasei del manuale della disciplina. Quesada, allora, ancorando il gioco proprio alla difesa con quella garra tipicamente latina, pur senza accantonare le ambizioni (e le conquiste) di Crowley, ha garantito il nostro equilibrio più stabile, nel quale tutti gli attori protagonisti sono sempre messi nelle condizioni di dare la loro migliore versione. Insomma, il mantra è quello di sfruttare tutto ciò che si ha fino all’ultima goccia per colmare la distanza che ancora c’è rispetto ai maestri anglofoni e transalpini. Il bello è che stiamo davvero provando a farlo.

Certo, bisogna anche dire che abbiamo nel roster alcuni grandissimi fuoriclasse, perché va bene l’abnegazione collettiva ma senza talento sarebbe assai più duro il pane da mordere. La coppia di centri Brex-Menoncello, per esempio, se non è la più forte al mondo poco ci manca. Ioane e Capuozzo sulle ali, poi, sono motivo di invidia per molti, oltre che spina nel fianco delle difese. Placcatori granitici come Lamaro, il più prolifico di tutto il Sei Nazioni nel portare l’avversario a terra, e Cannone sono l’essenza del gioco. Le incursioni di Negri, uno che trova sempre il modo per avanzare palla in mano, stanno al rugby come le progressioni di Ganna stanno al ciclismo dei pistard. E molto altro ancora, con una coperta finalmente di lunghezza opportuna. Chi subentra, infatti, non fa rimpiangere chi esce. Si pensi a Zuliani il ruba-palloni o a Spagnolo, una delle più belle e recenti scoperte.
A proposito di Capuozzo. L’ultima sua apparizione al Millennium non è glorificata su YouTube ma direttamente in paradiso. Ricordate, no? Tempo scaduto, punteggio sotto break, la palla che dal cielo piove nella metà campo azzurra e viene raccolta proprio da Ange che decide di coltivare grano dove tutti pensano non possa che nascere sterpaglia. Testa alta, un’occhiata al posizionamento di compagni e avversari prima di un’idea, folle ma solo per chi non ha né il suo cuore né le sue gambe atomiche. È il Tomba dei pali stretti a Calgary, il Maradona di Città del Messico: dribbla tutti. E quando una finta di corpo manda a stendere i panni l’ultimo gallese al culmine di ottanta metri di volata, lo scarico su Padovani per la meta, preludio della trasformazione di Garbisi che vale la vittoria, sancisce la nascita di un talento purissimo che oggi, due anni più tardi, è patrimonio dell’umanità rugbistica. Corsi e ricordi storici, prima del weekend scorso l’Italia non vinceva una partita proprio da quel giorno.

L’appuntamento, quindi, è fissato per questo pomeriggio. Una vittoria azzurra significherebbe tante cose tra le quali il miglior posizionamento di sempre nel torneo, presumibilmente terzi, il primo filotto da tre partite utili consecutive, il superamento della famigerata prova del nove che spesso ci ha respinto. Nell’attesa delle scelte tecniche di Quesada, una certezza. Chi scenderà in campo darà sempre la sensazione di fare la cosa giusta al momento giusto, che nello sport significa aver fatto il possibile per essere migliori dell’avversario. Il vento è proprio cambiato e a Cardiff c’è la possibilità concreta che non possa essere fermato.

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