Magenta. Il patrimonio restituito alla comunità. Dati, analisi, testimonianze, esperienze e criticità di un percorso

L'incontro promosso da Centro culturale Don Tragella, Centro Studi Kennedy, Pro Loco, Urbanamente, Università del Magenta e La Memoria del Mondo con la scrittrice Rosa Laplena, autrice del volume ‘I beni confiscati alla criminalità organizzata’

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Se un libro e la testimonianza di esperienze volte a restituire alla comunità i beni sequestrati e confiscati alla mafia hanno contribuito a dare in materia maggior contezza e sensibilità agli intervenuti all’incontro dello scorso venerdì, allora si può parlare di una buona riuscita dello stesso, come auspicato da Angelo Colombini.

Con questa implicazione logica apriamo la cronaca della serata, condotta dal Segretario confederale CISL con il patrocinio del Comune, promossa dal Centro Culturale Don Tragella, dal Centro Studi politico/sociale J.F.Kennedy, dalla Pro Loco, da Urbanamente, dall’Università del Magentino e dalla libreria la Memoria del Mondo.

Breve parentesi: la corale proposta, piuttosto ma piacevolmente insolita, di varie associazioni culturali cittadine, oltre a sottolineare la valenza dell’ argomento, potrebbe dare il via ad altre future collaborazioni? Hai visto mai. Perché si sa che l’unione fa la forza. Concetto che i relatori hanno sostenuto, confermato e ribadito a proposito di un agire volto a trasformare un bene ‘negativo’ in ‘positivo’.

Veniamo all’intervento di Rosa Laplena, autrice del libro ‘I beni confiscati alla criminalità organizzata’ ed. Meriter: una raccolta di analisi e dati dalla Legge Rognoni-La Torre ad oggi. Legge del 1982 che introdusse nel Codice penale italiano ‘il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso’.

“Fino a quel momento c’era conoscenza, ma non condanna del fenomeno mafioso”, asserisce la Laplena che, all’indomani dell’uccisione di Pio La Torre, decise di impegnarsi. “Vengo dalla Sicilia una terra martoriata dalla mafia”, afferma con la precisazione che la legge suddetta, “in virtù della quale si definisce finalmente cos’è la mafia”, fu approvata solo dopo l’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. “La mafia è un’associazione, di certo criminale, ma anche economica come dimostrano i numeri dei beni confiscati”. E quelli snocciolati durante la serata sono da capogiro.

“Tremilanovecento aziende confiscate, di cui la più parte al Sud, dove la malavita controlla il territorio e gode di entrature nelle Istituzioni”. Tuttavia, attenzione, in Lombardia sono 3.775 i beni confiscati e ciò è prova dell’inquinamento mafioso dell’economia della Regione padana “che al proposito risulta quinta dopo Sicilia, Calabria, Campania e Puglia”. Affermazione che ci fa male, ma non cadere dalla sedia. Le cronache parlano.

Viene citata poi la Legge 109/ 1996 per l’uso sociale dei beni confiscati alle mafie.

Rosa Laplena osserva: “Abbiamo una normativa cui l’Europa guarda con attenzione, come un esempio da seguire, ma qui non la si vuol far funzionare. Noi blocchiamo. Destinati a progetti, c’erano fondi che poi non ci sono più stati, questo anche nel recente PNRR”, lasciando senza copertura lavori già avviati e in braghe di tela Comuni che si erano messi in gioco. “Occorre quindi unire le forze ‘dal basso’, creare un modello di governance che veda interagire società civile, terzo settore e istituzioni; occorre, attraverso un Piano Regolatore Sociale, capire come utilizzare quei beni e soprattutto come ‘riconoscerli’, altrimenti diventano beni comuni, mentre sono espressione della mafia che li ha sottratti alla comunità per la quale devono essere ora occasione di sviluppo e servizio”.

Sulla complessità della legge e difficoltà dell’agire concorda, in collegamento da Arezzo, Paolo Acciai, membro Cgil, Cisl e Uil del Comitato di indirizzo dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. “Sono un’enormità, più di 24mila beni immobili e 4/5miliardi di liquidità, in gestione al Ministero di Grazia e Giustizia, poi ci sono gioielli, opere d’arte”. Acciai riferisce di accordi, stipulati con alcuni Ministeri, come quello per la vendita delle opere d’arte di minor interesse il cui ricavato incrementerà il fondo per le vittime della mafia, o quello che stabilisce di dare terreni a giovani per avviare imprese agricole, “con il dovuto controllo, a evitare conflitti di interesse, finte acquisizioni”. C’è un patrimonio che “stranamente” non si riesce anche a collocare. Liquidità ferme. Tanti sono i nodi, le discrasie: nomine di inutili commissari straordinari, mancanza di conoscenza di leggi pregresse, assenza di progettualità, mentalità ingessate nel ruolo istituzionale. “Servirebbero manager capaci. Ci sono beni che non si capisce perché l’amministrazione pubblica non possa utilizzare, per esempio, per l’edilizia popolare, per strutture sanitarie, caserme …”.

A suo avviso il sistema di assegnazione va semplificato a favore del Terzo Settore, “se c’è un progetto di utilizzo sociale, ci sia una diretta assegnazione”. Si creino collaborazioni con gli Atenei, con i sindacati, con i soggetti attivi della società, “le Amministrazioni locali da sole non ce la fanno, è necessario lavorare tutti insieme per una vittoria della società civile sulla criminalità organizzata”.

A testimoniare che, quando ciò avviene, si ottengono risultati positivi, seguono le esperienze illustrate da Gilberto Sbaraini, Presidente della Cooperativa sociale ’La Strada’, da don Massimo Mapelli e da Elena Simeti dell’Associazione ‘Una casa anche per te’. Il primo attivo nelle periferie milanesi, dove degli immobili sono divenuti la casa di padri separati, di nuclei di madri sole e dei loro bimbi o di altre persone in emergenza abitativa. “Milano, con i suoi 236 immobili confiscati tra negozi, case, garage e magazzini, si è mossa – dichiara – il Comune potrebbe gestirli direttamente, ma li assegna a enti del terzo settore attraverso regolari bandi. Tuttavia, rimangono molti nodi critici, come regole che ahimè non aiutano la conduzione degli spazi la quale necessita, non c’è bisogno di dirlo, di soldi e anche di giusti tempi di durata. Prima di una recente normativa, che li ha estesi a sei anni con possibilità di rinnovo, erano solo due: una follia!”.

Da ultimo sarebbe utile creare una sorta di collaborazione tra associazioni, cooperative e realtà del mondo profit, “perché sensibilità e attenzione per i più fragili non stanno solo da una parte”. Lui è un uomo del fare, “di quella voglia di fare che – aveva evidenziato in precedenza Rosa Laplena – ho riscontrato qui al Nord”.

Poi è il turno di don Mapelli, responsabile di Caritas Ambrosiana Zona VI. Un uomo che conosce i territori del sud-ovest milanese, “dove c’è un bene confiscato ogni 1000 abitanti” e dove, nel 2015, fatti non parole, dopo la confisca di una proprietà della ‘ndrangheta, estesa su circa 10mila mq. in quel di Cisliano, ha guidato una pacifica occupazione a “tutela di un bene” di cui ha poi avuto l’assegnazione definitiva. ‘Libera masseria’ è il risultato della riqualificazione, con progetto di Stefano Boeri, di un‘area divenuta presidio antimafia, destinata ad attività sociali, educative, formative – “tantissimi ragazzi vi hanno fatto esperienza di scuola/lavoro” – e aperta all’accoglienza dei più bisognosi e disagiati. “Un altro bene, preso in carico da due parrocchie – informa il Don – è a Trezzano S/N , vi è una villetta ad Arluno che presto avrà utilizzo sociale” e altro ancora.

“Si è creata una rete di associazioni nel sud-ovest milanese, la società si sta muovendo nel contrasto alla mafia”. Ma molto bisogna fare, tenendo presente, avverte Don Massimo, “che i grandi beni confiscati stanno nei piccoli Comuni che non si possono lasciare soli e che la Regione deve sostenerli con i fondi a disposizione”. Infine, un’ultima riflessione, offerta da Elena Simeti con il dito puntato verso quella “zona grigia”, che alcuni professionisti abitano, dove i confini tra legale e illegale sfumano.

Le conclusioni ad Angelo Colombini su un incontro “da cui è emerso come il tema della confisca dei beni non comprenda solo aspetti legali, ma anche educativi, posti in luce dalle esperienze presentate”. Nel merito il moderatore richiama le parole del Presidente Mattarella sulla scuola “terreno decisivo per la formazione di coscienza civica e per trasmettere il senso della legalità”, compito al quale siamo chiamati tutti, non solo le Istituzioni, compito che riguarda ciascuno di noi nel vivere quotidiano, nei comportamenti personali. Quindi un invito a pensare “alla possibilità per realtà pubblica e terzo settore di essere un punto di riferimento e alla necessità di una Politica che aiuti cooperative e associazioni a livello nazionale, regionale e comunale, in modo concreto, per contrastare la mafia nei territori”.

Franca Galeazzi

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