Emiliano Mondonico, ovunque esso sia, in questo momento è l’uomo più felice di tutti. Perché lui, quella coppa sfumata contro la saracinesca Preud’homme, il portiere più forte dell’epoca, se la sarebbe meritata tutta. Al pari del leggendario Stromberg, del bomber Garlini, di Bonacina e di Fortunato, e il momento di gloria è finalmente arrivato. L’Atalanta Bergamasca Calcio nella stagione ’87-’88, quindi una vita fa, milita nel campionato di Serie B ma per le stranezze dello sport e l’immensità di Maradona e del Napoli più forte di sempre, perché capace di fare doppietta Campionato-Coppa Italia, disputa la Coppa delle Coppe che teoricamente sarebbe riservata ai vincitori di dei trofei nazionali. Oppure ai finalisti, vedi Atalanta, in casi analoghi.
Contro ogni regola calcistica, la cavalcata europea di una compagine retrocessa tra i cadetti soltanto qualche mese prima è di quelle epiche. Certo, le redini sono passate nel frattempo nelle mani sicure proprio del ‘Mondo’, già calciatore talentuoso e ora allenatore viscerale e competente, ma sopravvivere indenni a così tanti mismatch fuori dal suolo patrio è un vero capolavoro. Il Malines o Mechelen in lingua madre, che finirà per vincere il trofeo, gioca una doppia semifinale gagliarda e pure fortunata e la notte di Bergamo, quella del ritorno sommersa da quarantamila tifosi e aperta dalla rete della speranza del solito Garlini, finisce con l’urlo di una città intera strozzato in gola ad un passo dal sogno finale. Comunque, il momento più alto della storia del club, almeno fino a ieri, la notte del maestro Gasperini e del cerchio che si chiude, trentasei anni dopo.
Il ‘Gasp’ non è tipicamente quello che si dice un tipo semplice da farsi amico, non fosse altro perché spigoloso come la pietra. Un visionario, però, depositario di un’idea di calcio moderna ad essere riduttivi che, se fino a qualche tempo fa predicava solo lui in un mare di diffidenza globale e financo di scherno, oggi fa la fortuna di un sacco di squadre e novelli santoni. Ma l’originale, cioè lui, è sempre l’originale, quindi un’altra cosa, e l’Atalanta prima distrugge a domicilio il Liverpool di Klopp in un Anfield che trasuda gloria da ogni seggiolino e poi maltratta una squadra che, oltre ad essere campione di Germania nonostante a quelle latitudini ci sia il Bayern, non perdeva da cinquantuno partite di fila e gli addetti ai lavori indicano come modello virtuoso, perché lo è: il Bayer Leverkusen di Xabi Alonso. Così, questa volta la coppa non può scappare. È Dublino, tira il solito vento gelido ma sembra Bergamo, del resto le due città hanno un sacco di sfumature in comune. L’urlo del popolo bergamasco nel sacro tempio dell’Ireland’s call e della marea verde è poesia pura applicata alle dinamiche pallonare in una notte già trascritta sui libri di storia.
Al pari dei tre gol di Lookman, uno dei tanti giocatori che a Bergamo ci è arrivato carneade e da Bergamo se ne andrà via campione. Ma lo sport è spesso strano. Succede, infatti, che per gli addetti ai lavori, o molti di quelli che si fregiano indebitamente del titolo, Gian Piero Gasperini fino a ventiquattro ore fa fosse un perdente. Belle squadre le sue, ma che non vincono mai. Perché, nella stramba visione corrente del calcio, quelli preparati sono gli Ancelotti e i Guardiola, che sollevano trofei quasi senza soluzione di continuità, non i Gasperini o gli Italiano che, viceversa, di solito le finali le perdono. Fa niente se il capitano atalantino nella serata di gloria sia uno, peraltro strepitoso, come Djimsiti. Ragazzo che non più tardi di otto anni fa giocava in serie B a Lecce e che l’anno dopo retrocedeva dalla massima serie col Benevento. Mica Dias, Alaba o van Dijk, il cui costo è pari ad una finanziaria di uno Stato. Oppure che la fantasia in mezzo al campo sia assicurata da uno scarto del Milan e i gol da uno respinto dal campionato inglese, il più bello del globo nella narrazione comune. Bravi sono sempre quelli come Carletto, che vincerà l’ennesima Champions League schierando Bellingham, Kroos e Vinicius, e Pep, che non la vincerà nonostante in campo ci mandi De Bruyne, Rodri e Haaland.
Gasperini è uno che dev’essere capito e meritato. Come ha fatto il presidente Percassi nei giorni bui, quelli a cantiere in corso, quando chiunque altro avrebbe pensato all’esonero. Perché, se ciò accade, uno come Ruggeri, che è nato in Val Brembana senza i galloni del campione ma con la Dea tatuata sul cuore, alza la coppa in mezzo alla sua gente. Il calcio operaio che è antitesi di quello marcio dei petrodollari, spedito in paradiso dalla forza di un’idea incrollabile, puntellata dall’assioma mutuato dall’ecosistema rugby per il quale il segreto del successo si chiama sostegno, la parola magica. Immolarsi affinché il compagno possa correre più svelto verso la meta, con il valore del gruppo che diventa superiore alla somma del valore dei singoli. A ben pensarci, ciò che fa di un un allenatore un condottiero. Grande squadra questa Atalanta, umile e sfrontata insieme, il cui principale merito è quello di aver scelto una linea stilistica identitaria e di averla difesa e mantenuta viva con fede inscalfibile anche nelle difficoltà. Fino a Dublino, che, appunto, sembra Bergamo.
Così, il pensiero va ancora una volta al compianto Mondonico, probabilmente allenatore meno geniale del maestro Gasperini ma dall’attaccamento ai colori più solido di chiunque altro. Che, a valle di una delle sue imprese corsare perché strappate contro pronostico, un giorno disse che nello sport, quindi per estensione nella vita, possa sempre succedere che a vincere non sia il piu forte ma chi ci metta più voglia. Bergamo, oggi mamma della prima squadra italiana a vincere l’Europa League, non lo ha mai dimenticato e un pezzettino di questa impresa che viene da molto lontano è anche sua. Con lo sport che trova sempre il modo per farci commuovere.