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Dall'archivio:

Cari ambientalisti, per cortesia fateci celebrare i falò.. e non rompete le palle

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

 

 

EST TICINO – I novelli censori, Robespierre che brandiscono codici e codicilli come s’utilizzava la ghigliottina negli anni del Terrore, non hanno certamente letto l’immenso Cesare Pavese, che nella Luna e i Falò fa vibrare, caldo, il fuoco della Tradizione sublimata nell’atto letterario.

I novelli Robespierre, che nell’est Ticino spesso e volentieri hanno cognomi non autoctoni, il che non è certo un reato o una maledizione, spesso arrivano dalle grandi città, o dalla cintura conurbata della metropoli,e da ragazzi non hanno forse mai sentito l’odore di ‘gius’, al secolo sterco (o merda), che promana dai nostri campi durante l’aratura.

Non hanno bagnato i piedi nel Ticino o nel Naviglio, non hanno fatto il bagno nella Rungia, non si sono mai radunati nelle cascine di parenti, amici, compagni di scuola, per ravvivare quel Rito, quella Tradizione, che vale molto più dell’isterismo tutto moderno che vorrebbe cancellare i falò.

I novelli Robespierre non hanno letto né Rene Guenon né Julius Evola, secondo cui l’origine delle forme tradizionali ci pone di fronte a problemi abbastanza complessi. Per quel che riguarda il primo dei due aspetti qui distinti, ossia l’aspetto storico, viene spesso prospetta l’idea di una tradizione primordiale, dalla quale sarebbero derivate le successive, particolari tradizioni.

I novelli Robespierre non hanno neppure letto con attenzione i dati del Politecnico di Milano, che attestano da tempo non sospetto come la quantità di inquinanti e polveri sottili a Milano e area metropolitana sia inferiore del 60, a volte 80% rispetto al 1985.

E’ bene che la politica si ponga il tema dell’ambiente e della qualità dell’aria. Ma l’Uomo, e la sua spiritualità, foss’anche pagana, vengono prima. Molto prima. 

Quindi, cari amici ambientalisti radicali e giacobini, questa sera statevene pure a casa sul divano, fa freddo ed è umido. Magari approfittate del tempo per leggere Cesare Pavese.

Noi saremo nei campi, a fianco di amici, sodali, camerati e compagni, delle persone che amiamo, di quella ragazza che ci scalda il cuore, a brindare e condividere, nella società che ha eretto a modello l’individualismo spurio e triste del feticcio ambientalista. Del resto vi vediamo come gli uomini ‘senza canti e senza suoni, senza donne e senza vino, che forse vorrebbero vivere qualche anno in più’, ma che nel frattempo non sanno cosa si perdono. Di certo, la potenza senza tempo della Grazia, della Bellezza e della Tradizione che brucia tra le fiamme di un falò.

Quindi, cari amici, non rompeteci le palle e fateci festeggiare attorno al sacro fuoco, vi aiutiamo con un bel pezzo di carattere storico scritto dall’Unione delle Pro Loco italiane. Buon falò, anche a voi.

Fabrizio Provera

Ps questo pezzo è dedicato a Matilde, che tempo fa venne ad abitare dalle nostre parti,  ricordandosi di quando suo nonno la portava ai falò da bambina, nella sua terra d’origine.

Oggi Matilde aspetta che il suo cuore possa ancora scaldarsi come un tempo. Come quando era bambina. Perché ora, da donna, ritrovi la pace che ci è offerta in dono solo dal vero Amore.

 

STORIA E TRADIZIONE DEI FAL0′

Questa è la storia del falò, un rituale dall’origine antica ma che accomuna, nella sua semplice spettacolarità, culture e popoli diversi. Il rituale del fuoco viene da sempre associato alla purificazione e alla consacrazione, quindi all’allontanamento degli influssi malefici ed in esso si fondono tradizioni pagane e cristiane. Ritroviamo riti della stessa natura in tutta Europa, dalla Scandinavia al Mediterraneo, sempre con le stesse caratteristiche. I significati attribuiti sono molteplici, diversi, ma profondamente simili, per esempio in alcune culture era il mezzo con cui l’uomo esprimeva il suo bisogno di dominare le forze della natura ed esorcizzare l’ignoto, una sorta di “vittoria sulle tenebre”, in altre significava rompere il freddo della notte invernale, in altre ancora era un rituale di fertilità, sia per gli uomini che per la natura. Nelle campagne, i contadini accendevano i falò in determinati periodi dell’anno per propiziare un’annata di buoni raccolti ed allontanare i mali e le avversità. Venivano raccolte le sterpaglie ed i rami e ne veniva fatto un rogo per poi spargere le ceneri nei campi al fine di propiziare il raccolto. Talvolta i contadini raccoglievano un po’ di cenere e se la spargevano sui capelli o sul corpo come protezione contro i mali. Questa tradizione è sempre stata così radicata, quasi a far parte dell’uomo stesso, che non è stata interrotta neanche dalla tradizione cristiana, anche se è mutato il significato, legandolo soprattutto alla celebrazione di feste religiose come Sant’Antonio Abate, San Giovanni, San Lorenzo ed altri Santi protettori. In molti casi, e per le festività più importanti, i fuochi si richiamano da una parte all’altra delle colline o dei fiumi sia per rendere “visibile” la condivisione del culto sia come sfida tra fazioni rivali. Il fuoco era, ed è ancora oggi, anche un’occasione per ritrovarsi e stare insieme in un momento di festa, un modo per rivivere ogni volta quel senso di identità che più o meno consciamente ci appartiene. La tradizione italiana dei falò viene ricordata anche da Cesare Pavese, nel suo famosissimo romanzo “La Luna e i falò”.

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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