Il passare del tempo mitiga gli eccessi e coadiuva, o almeno dovrebbe, la riflessione. E allora sì, è adesso- trascorso su per giù un mese- il momento di chiedersi, una volta di più, il motivo di cotanto rancore progressista, progressivo, continuo ancorché periclitante, dell’antifascismo bustocco (nell’accezione, ovvia, di Busto Arsizio, quinta città più popolosa di Lombardia) per Francesco Lattuada, al secolo e per tutti Checco.
La pietra dello scandalo, ulteriore ridda di profluvi social e del consueto cahier des doleances antifascista marca Partito Democratico, sinistre e dintorni, è una foto pubblicata sul profilo del Checco al far della notte del 27 gennaio. Foto di antico conio. Una vetta, degli amici, del sentimento comunitario, una mano che s’alza. Tesa. Scandalo. Checco Lattuada, privato e libero cittadino fuori da tempo dalla politica politicienne (cui non s’è mai attagliato, neppure quando v’era immerso), perseguito e perseguitato dalla giustizia italiana senza che nei suoi confronti sia mai giunta una condanna (la sinistra nostrana è pure forcaiola, dimentica spesso), torna a far dibattere, a discutere. Il tema è succoso. I giornali vi si gettano. Il Checco è conosciuto e fa audience, fa letture sui social e sul web.
Il primo gesto conseguente, nella massima assise di Busto dove il Checco è assente da anni, è l’ennesima dimostrazione di un uomo e di un sindaco coraggioso, al secolo Emanuele Antonelli, che notoriamente tiene los cojones. In aula Emanuele difende l’amico, non rinnega l’amicizia. Gesto spesso impolitico. Respinge al mittente le accuse. Ma il mittente cosa sa, cosa conosce, cosa giudica, perché punta il dito accusatore e progressista senza conoscere? Perché questo, da settimane, ci tormenta.
Perché, cari compagni, agitate lo spettro dell’antifascismo (paradossale, in assenza e contumacia di fascismo dal 1945) senza entrare nella carne viva del problema? Perché siete così superficiali nel giudizio sprezzante di un uomo?
Io il Checco l’ho rivisto dopo tanto, troppo tempo il 26 gennaio ultimo scorso, alla Comunità Giovanile su cui poi torneremo. A Busto si festeggiava la Gioeubia. Terra, tradizione e territorio. Arrivo e vedo un nugolo di ragazzini fuori dall’invenzione, geniale, di Giovanni Blini e giovani antesignani, tra cui il Checco. Entro e lo saluto con calore, e aggiungo “Checco ma chi diavolo sono quei teppisti là fuori? Stanno fuggendo da una rapina a un mini market?”, scherzo e sorrido.
Sono giovani tifosi della Pro Patria, mi dice. Hanno 20 anni, quando tutti hanno o abbiamo avuto sete di assoluto, per dirla con Platone. Inquieti, incostanti, pieni di domande e provocazioni. Il Checco, fratello maggiore di anni 53, ma trenta di meno nello spirito e nell’ardore, semplicemente li accoglie. Non li giudica, come ci ha insegnato il più grande personaggio giallo del Novecento letterario, Jules Maigret, nella costruzione mirabile di Georges Simenon. L’uomo non si giudica. Si cerca di comprenderlo, di accudirlo, di capirlo, se necessario di strigliarlo. In Comunità Giovanile questi ragazzi siedono a una tavola e celebrano un rito, mangiano risotto, cercano di comprimere la bramosia dell’io convertendola in una potenziale mistica d’azione del Noi. Dai muri della CG li scruta Bobby Sands, morto poco più vecchio di loro nelle carceri inglesi. C’è San Michele Arcangelo.
E poi al loro fianco c’è lui, il Checco, col quale parlo dei servizi resi ogni settimana agli anziani, ai poveri, a chi sente il bisogno di un pasto caldo. Il Checco lo fa da anni, assieme a tanti, ma non credo debba essere dispensato da un giudizio, anche duro, perché “porta da mangiare ai vecchi”. Mi colpisce perché mi parla di impersonalità dell’azione. Si predicano imprese alte, per un ragazzo di oggi, come di ieri, in questo cortile di vicolo Carpi 4, con la ferrovia che corre a fianco. Mi viene in mente The Commitments, il capolavoro di Alan Parker. “Gli irlandesi sono i più negri d’Europa, i dublinesi i più negri d’Irlanda, e noi della periferia i più negri di Dublino”. Anche qui è periferia profonda. Di Lombardia. Dove il fango prevale sull’estetismo, ma da quel fango, quel guano, deandrenianamente parlando spesso nascono i fiori.
La sinistra alza la voce, strilla, inveisce. Soprattutto giudica. Giudica senza conoscere. Lo fa dimentica di parole inattuali, del tutto fuori dall’oggi ma evidentemente protese a una stagione smarrita, che Massimo Crespi- sodale di questo sulfureo Checco Lattuada da decenni- scrive l’indomani dell’ennessimo, virulento attacco social.
“C’è un uomo che è sensibile ed il cui sguardo, lo so, rivela la partecipazione, l’emozione per la verità anche quand’è triste, fa arrabbiare e fa sperare. È un uomo che parte e va a donare, che prepara da mangiare e raschia il fondo del suo piatto, offerto senza nemmeno pensare; non è capace di calcolare, d’architettare. Non è capace né pieno di sé. Ha costruito la sua casa, la sua comunità, l’ha protetta; l’ha resa solida, aperta, di valore. L’ha riempita di idee, di benessere e stare, di sogni.
Ha fatto l’educatore e formato il cuore di mille giovani bisognosi di cura, di occasione e di rilievo; consigliere senza alcun mandato da parte del solito vigliacco potentato, da giù, da dentro, da sé stesso. Ma costui va al contrario dentro la corrente ed è ribelle; non è pecora, non è bianca, non stanca; non si porta al macello. Scalpita, alza la voce e la mano, non accetta, non subisce, non prende forma. Rappresentò “ciò che mancava”: un modo diverso di stare insieme, senza dubbio più costruttivo”.
Nè più nè meno. Leggo e rifletto. Avrei voluto scriverle io, ma conosco il Checco da soli 15 anni. Massimo di più, assai di più.
E con Massimo c’era (e la sinistra lo dimentica sempre, che scivolone) Giovanni Blini. Tolto allo sguardo di suo padre, sua madre e sua sorella che era poco più d’un ragazzo, che sarebbe probabilmente diventato il leader della Destra italiana e oggi sarebbe Ministro. Ma la volontà di Gesù Cristo, Dio Padre Onnipotente e Signore degli Eserciti, è un Mistero che l’uomo di fede deve accettare. E chi non ha fede cercare di capire, che diversamente la vita è tutta un’inutile sequela di tragedie. Ma non si possono affettare parole virulente se prima non ci si confronta, fino in fondo, con la vita, l’azione, la visione e la prospettiva di uno come Giovanni Blini. Eppertanto pure della parabola di uno come Checco Lattuada.
C’è chi ne ha scritto (anche) da tribune e prospettive differenti, e con efficacia sintattica e narrativa, come Vincenzo Coronetti, fabbro di elevato conio del giornalismo di Varese e dintorni. “Si maligna per i suoi trascorsi giudiziari (sempre assolto, però) che rimandano ad altri saluti romani, a festeggiamenti per il compleanno di Hitler, a daspo ricevuti per le intemperanze allo stadio della Pro Patria, insomma, per una serie di cosucce che non pare siano apprezzate agli alti livelli dei meloniani. Che però non fanno curriculum in quel di Busto Arsizio. D’altra parte, il Checco è un generoso, si occupa dei senza tetto ed è attivo sul versante della solidarietà. L’hanno ribadito gli esponenti del centrodestra durante l’assemblea civica di giovedì sera. Peccato che certe volte tracimi”. Sic Coronetti dixit, Malpensa24 il 2 febbraio scorso. No Vincenzo, consentimi: quel tracimare dal tono vagamente censorio che adotti nel pezzo (bello) coglie poco della globalità, dell’interezza, dell’insieme. Del Checco. E’ una ben affetata descrizione di un Checco Lattuada politicienne. Che, come detto.. Non è il Checco.
E allora bisogna ricordare quanto Maria Sorbi scrisse sul Giornale nel 2011, circa la genesi della Comunità Giovanile: “In tanti raccolsero la sfida. Così cominciò la storia del gruppo: con la battaglia contro la droga assieme a Vincenzo Muccioli, con le ripetizioni gratuite per gli studenti delle superiori, con le attività sportive, il volontariato, la Festa estiva aperta a tutta la città, i dibattiti sulla guerra della ex Jugoslavia, l’Afghanistan, la questione tibetana. O ancora, i concorsi fotografici, i cineforum e Bustok, la rassegna musicale di giovani band”.
E la storia continua, col Checco che ha unito la sua vita di sposo ad Elena, la sorella di Giovanni, e i loro due figli che palesano sul viso segni evidenti di quella fierezza.
E allora bisogna amarla davvero, la vita e l’umanità, specie quella periclitante e sempre su di un cornicione scheggiato e sgaruppato, per capire gli slanci di uno come Checco Lattuada. E non limitarsi a parole miserrime su un braccio teso. Bisogna amare.
“Se fossi un guardiano ti guarderei
se fossi un cacciatore non ti caccerei
se fossi un sacerdote come un’orazione
con la lingua tra i denti ti pronuncerei
se fossi un sacerdote come un salmo segreto
con le mani sulla bocca ti canterei
Se avessi braccia migliori ti costringerei
se avessi labbra migliori ti abbatterei
se avessi buona la bocca ti parlerei
se avessi buone le parole ti fermerei
ad un angolo di strada io ti fermerei
ad una croce qualunque ti inchioderei
E invece come un ladro come un assassino
vengo di giorno ad accostare il tuo camminop
per rubarti il passo il passo e la figura
e amarli di notte quando il sonno dura
E amarti per ore ore ore/e ucciderti all’alba di un altro amore
e amarti per ore ore ore e icciderti all’alba di un altro amore
Perchè l’amore è carte da decifrare
e lunghe notti e giorni da calcolare
se l’amore è tutto segni da indovinare
Perdona se non ho avuto il tempo di imparare
Se io non ho avuto il tempo di imparare”.
Ecco, l’unica concessione che vi facciamo, cari antifascisti senza cuore, senza canti, senza suoni e senza vino, è quella del tempo che vi è mancato per imparare.
Tempo che a voi piacendo non manca. Tempo che nel ‘frattempo’ noi spenderemo sempre attorno a un fuoco, al Checco e alla sua famiglia allargata, alla sua Comunità. E sapete perché? Perché in tanti anni è tra i posti migliori dove abbiamo imparato la brezza della autentica Libertà. Del coraggio. Della sfrontatezza. Del romanticismo. Voi lo chiamate fascismo. Noi sappiamo che è qualcosa di molto più grande, di più impegnativo, di più complesso. E’ l’applicazione costante di una durezza che ha per approdo estremo la felicità integrale. Rara avis. Soprattutto per dei senza cuore come voi. Noi sempre con lui, il Checco. E mai e poi mai con voi. Ma non precluderemo mai la possibilità che vi sediate a quella tavola. Per parlare di sogni, di rivoluzione, di Uomini capaci di sacrificarsi per un’Idea.
Fabrizio Provera