In un mondo avaro di certezze, come spesso accade, ci pensa lo sport a presentarne una pressoché inviolabile. Senza troppi fronzoli dialettici, succede, infatti, che quando Mathieu van der Poel decide di vincere finisce sempre per vincere lui.
Non importa chi gli contende il successo. L’olandese punta l’obiettivo, lo prepara, arriva alla partenza, trionfa, saluta e se ne va. La volata imperiale con la quale ha messo il punto esclamativo su una delle Classicissime più belle di sempre ci ha ricordato due cose. Uno: Mathieu sta al ciclismo come Alcaraz sta al tennis, Dupont al rugby o Jokić sta al basket. Insomma, la cerchia degli dèi. Due: il ciclismo 2.0 ha definitivamente soppiantato tutto ciò che per decenni ha rappresentato la sua cifra stilistica, al punto che oggi pare tutta un’altra disciplina. La rivincita dei Don Chisciotte sui mulini a vento, con nuove regole non scritte e nuove dinamiche di gara.
Perché, ora, in circolazione ci sono quelli come Pogacar, a cui sarebbe sufficiente un cavalcavia con la salita appena abbozzata per scavare una voragine tra sé e i più immediati umani inseguitori, e quelli come van der Poel, che senza fare un plissé risponde alla rasoiata riversando sulle pedivelle una quantità di energia da far ammattire il computer di bordo.
Come se Daitarn 3 si prendesse a cazzotti con Goldrake. Botte da orbi. Quelle che ieri i due protagonisti di giornata, insieme ad uno stratosferico e commovente Pippo Ganna a far da terzo incomodo, si sono dati senza nemmeno indossare i guantoni a partire dalla Cipressa, quando Tadej secondo pronostico ha rotto gli indugi producendosi in una di quelle accelerazioni che novantanove volte su cento mandano in onda i titoli di coda. Non ieri, perché, appunto, Mathieu – non a caso nipote e sangue dello stesso sangue di Raymond Poulidor, per chi se lo ricorda – è uno che, al pari di lui, al ciclismo dà del tu e non si farebbe impressionare nemmeno dal diavolo. La Cipressa non sarà il Mortirolo, che scoperta, ma è salita vera. Posizionata quando i corridori hanno già messo nelle gambe più di duecentocinquanta chilometri, ha lunghezza e pendenza per fare male a chi, per genetica, proprio un grimpeur non è. Così, Pogacar ha scelto proprio quell’asperità per fare all-in ma van der Poel non ha ceduto un metro, nemmeno quando il rivale ha innestato l’ultima altissima marcia a disposizione.
Sul Poggio, poco più tardi, l’olandese non solo ha rintuzzato il forcing del campione del mondo in carica ma, sul tratto più duro della salita che è al solito l’ultima fatica verso la vittoria, gli ha restituito la pariglia sui denti, lanciando un segnale inequivocabile: la Milano-Sanremo è casa sua. Con Pippo ad inseguire a brevissima distanza, e ciò rende esaustivamente l’idea del capolavoro compiuto dall’azzurro, i due battistrada hanno affrontato la discesa, più un cavatappi che un nastro d’asfalto, studiando reciprocamente le possibili debolezze altrui agevolando in piccola parte il subentro dell’azzurro. Pertanto, all’imbocco di via Roma, arteria iconica della città dei fiori, si sono raggruppati in tre per giocarsi la corsa in volata. Qualche metro in surplace – come avrebbe detto il compianto De Zan, con una meravigliosa locuzione mutuata dalle gare su pista – con Pogacar che si piazza in coda al plotoncino, nella posizione migliore per lo sparo, e Ganna che, invece, si francobolla alla ruota di van der Poel, prima del terremoto.
Mathieu, dalla prima scomoda posizione, si alza in piedi sui pedali e con una sola scalciata fa un buco di una decina di metri su Pippo, il più lesto a rispondere, con Tadej che gli si accoda. Fosse pugilato, sarebbe il gancio sulla mandibola che spegne le lampadine di chi lo incassa. Game over.
Van der Poel si prende Sanremo e, da attore consumato qual è, simula l’incredulità che non c’è coprendosi il viso con le mani, mentre Ganna, superlativo secondo, relega Pogacar in terza piazza. Un podio stellare per la Classicissima che si è scoperta ieri una corsa ancor più bella di quanto avesse mai immaginato di essere. Per Mathieu si tratta del bis dopo la vittoria del 2023 e della settima Classica Monumento che va ad aggiungersi ai tre Fiandre e alle due Roubaix. Un Cannibale, senza che Merckx, sempre un po’ permaloso, abbia di che storcere il naso per la condivisione di un soprannome più che mai azzeccato. La stagione, quindi, non avrebbe potuto iniziare meglio e, anzi, c’è la possibilità concreta che a marzo abbia già offerto il suo acme, con una Sanremo che sarà difficile dimenticare.
Appuntamento, tra poco, al Nord. Il Belgio è pronto a mettere sul tavolo pezzi di storia imperitura del ciclismo, tra Fiandre e Vallonia. Quello spicchio di mondo spesso ostile, i ciclisti lo chiamano inferno, perché muri, pietre, fango e gelo lo ricordano molto da vicino. Tuttavia, a questi eccezionali protagonisti pronti a sfidarsi di nuovo rischia di stare stretto financo il paradiso. Che dire, la golden age è qui.