Living in the Box – Anni ’80 per sempre

Meglio vivere in una scatola di cartone che in una prigione di pensiero

Faccia da “Sposerò Elly Schlein”. A cura di Max Moletti

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO - "Egregio Direttore, Negli anni ’80 spopolò un libro e poi un film: Sposerò Simon Le Bon. Le ragazze impazzivano per...

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RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO – Egregio Direttore, come posso spiegare gli anni ’80 a un ragazzo o, peggio ancora, a un radical chic? Il secondo non avrebbe nulla da dire, il primo potrebbe imparare molto.

Negli anni ’80 c’era speranza per tutti. Gruppi musicali nati e calati dopo aver toccato l’apice del successo: meteore, sì, ma capaci di segnare un’epoca, un periodo della nostra vita. Come i pantaloni dell’Uniform, con quella enorme “U” sul didietro — «Ku!», diceva mio padre bestemmiando dopo aver speso 110.000 lire.

La morte di Richard Darbyshire, leader dei Living in a Box, è un’altra tegola che cade dal tetto, ormai non più uniforme, degli anni ’80. Era la seconda parte del decennio d’oro, e la vita scorreva tranquilla tra una moneta nel juke-box e una figurina dell’album Panini.

Poi, come un fulmine, arrivarono loro: Living in a Box con Living in a Box. Un ritornello semplice, quasi banale, ma irresistibile. Un tormentone che ti prendeva subito.
D’estate si ballava alle giostre di Cerano, imitando come perfetti cloni quei movimenti semplici ma efficaci.

La BMX lasciava il posto al Ciao, che con un po’ di miscela ti portava fino a Trecate — per sentirti più grande. Il walkman con la cassetta duplicata era la nostra playlist, e non poteva mancare la canzone: dolce cantilena dance, top.

Erano gli anni ’80: bastava un mito per segnare un’epoca, o magari solo un’estate. Il successo arrivava e se ne andava, ma non era una dittatura di like come oggi. Niente corpi tatuati fino all’eccesso, niente volgarità gratuite o gesti estremi. Giacca e cravatta, sì, ma con taglio moderno,
e con un occhio di riguardo — per piacere anche alle mamme.

La loro stella brillò, eccome se brillò. Poi l’eclissi, e la fine di un gruppo… ma anche di un’epoca.
Un periodo che ha tracciato un solco e dettato la via, spesso dimenticato e mai pienamente riconosciuto nel suo valore.

Non voglio dilungarmi troppo, ma tre cose vorrei dire per spiegare il nostro decennio:

La felicità era nell’aria, forse pure ingiustificata.

C’era voglia di piccole conquiste, in attesa di quella grande.

E soprattutto, c’erano emozioni che sapevano di gomma americana dopo un bacio.

Le pedalate per far partire il motorino, le monete per far suonare la nostra canzone preferita:
bastava questo per sognare una serata.

Forse abbiamo davvero vissuto in una scatola di cartone, convinti che fosse oro del Giappone.
Ma eravamo felici — pensando più a noi che a odiare gli altri.

Un altro piccolo, grande mito ci lascia. Un fiume di ricordi che molti, purtroppo, non potranno mai avere. Meglio vivere in una scatola di cartone che in una prigione di pensiero. Devo avere ancora quel 33 giri… e la cassetta che duplicavo per le belle del paese. Noi, si “scaricava” così. Per rimorchiare”.

Massimo Moletti

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