All’angolo fondo di via Pretorio, adiacente allo slargo a gomito dove insistette il circolo del gloriosissimo Partito Socialista che tanta sorte ebbe nella politica amministrativa della città dal dopoguerra, in una stanza dai mattoni a vista, riattata a redazione con annesso servizio igienico forse essenziale, negli ultimi anni sfangò la sua esistenza raminga Francesco Maria Bienati, ora morto. Aveva, con quel coraggio che lui sempre sconfinava nel temerario, messo su, per dirla alla sua cifra stilistica, il Corriere dell’Altomilanese.
CAM, in acronimo, e andava trasmettendo, via you tube, i suoi servizi spesso a scavallo tra l’opinione, la propria, e il fatto. Nel disequilibrio scaturivano polemiche stemperate dalla pazienza ascetica di Graziano Masperi, cronista del territorio per alcune testate e ultimo cronista oggi rimasto nella plaga e autore del blog in viva vita Naviglio Parlante. Insieme al Masperi aveva fatto capolino Francesco Bigogno, interprete di sacrale pacatezza, che aveva aperto dentro il contenitore una trasmissione serale intitolata tra Me e Te dove imbastiva colloqui con vari personaggi della città e comuni limitrofi.
Chi scrive fu invitato e si esercitò nelle sue amene bagatelle estranee a cronache di varia contingenza, riporto un titolo argomentativo ad esempio: L’odore del cane bagnato, e rivedendomi oggi, a sette anni di distanza, in rigor mortis, scorgo, il Bias che governava la macchina da presa con la Marlboro all’angolo delle labbra per la diretta notturna.
I due riuscirono a stemperare le intemperanze del Francesco Maria Bienati detto il Bias per un certo periodo poi, come si sa, la natura prende il sopravvento. E il Bias, già di suo autentico magister nella polemica e nella propria autodistruzione, si divise anche dai due e tirò avanti da solo con feroce determinazione. Noi due, lui ed io, già ci sopportavamo in lupesco ululio e pertanto ciascuno alla propria radura.
Ciao Bias quando ci si incontrava e lui di rimando ciao Torre, nel suo andare claudicante per una frattura in quella lontana gioventù che presto gli fu alle spalle. Ora, scartocciando le sue corazze, le sue paturnie, i suoi umorali, il Bias ha vissuto da generoso soprattutto quando poi lui doveva lesinarne per sé. Sì. E scartocciando tutte le maschere che ciascuno di noi indossa, quorum ego, la morte ti impone il volto, quello tuo, ed è quello che è. E il suo è pulito.
E nel suo cuore fermo brilla una scheggia d’oro. Lo vidi di persona quando fu ricoverato al Fornaroli per un attacco cardiaco. Parlammo alla bravaccia quella sera ch’era già notte fumando senza ritegno né legge accucciati sui gradini delle scale di servizio dell’ospedale dentro una breva che trapassava. Ne fece una foto che poi il Cristiano Del Gobbo, presente alla notte come sempre, pubblicò suscitando una processione di visite al nostro. Era molto contento di vederti mi disse il Cri, ed anche io gli risposi.
Poi l’ultima sua immagine, Bias cammina lungo lo scombicchierato beolame di via Pretorio, di quella magrezza dolorosa che gli indumenti ciondolavano. Non mi vide e non lo chiamai. Lo guardai nella sua camminata montagnina mentre rasente il muro col dito strisciava l’intonaco. Un gesto da bambino. Bello come un bambino che va all’asilo. Ed era buono. Addio Bias.
E.T.
(nella foto al centro il Bias, sulla sx Emanuele Torreggiani e sulla dx Cristiano Andrea Del Gobbo)





















