RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO – “Egregio Direttore, il calcio italiano è davvero in crisi?
Forse quello che un tempo veniva definito “il campionato più bello del mondo” si è trasformato in un contenitore vuoto. Abbiamo un’Italia che fatica a battere la Moldavia, una Nazionale che non riesce più a esprimere un vero talento italiano, due Mondiali visti dal divano e un Europeo vinto — con un livello da Grecia anni 2000 — come unica illusione recente.
Dopo il 2006 siamo passati dalla “Pietà” di Michelangelo alla pietà sportiva, in un Paese sempre più diviso. Una volta bastava la Nazionale per unirci; oggi neppure questo. Le grandi squadre sono piene di stranieri, ma il fenomeno è diffuso: accade nelle piccole, in Serie B, in C, e basterebbe fare un giro di distinte fino alla D e alle Eccellenze regionali per rendersene conto.
Ma esistono ancora i vivai?
Le Nazionali giovanili sembrano comportarsi dignitosamente, eppure nel nostro calcio un ragazzo a 24 anni è ancora “giovane”, mentre a 25 diventa già “vecchio”. Perché non far giocare questi ragazzi invece di lasciarli invecchiare in tribuna o in panchina? Ma forse, in un Paese ottuso e anziano, questa è la regola non scritta.
Un Paese diviso, anche nel pallone. Un Paese di parrucconi e pannoloni, pure nello sport. L’interesse prima del benessere sportivo. Gli italiani, si dice, erano più da copertina con la velina che da campo, ma io ricordo gli anni in cui — come Fantozzi — giravo per Milano senza trovare nessuno a cui chiedere il risultato perché tutti erano davanti alla TV, su Rai 1, a tifare gli Azzurri. Le città si svuotavano. Oggi? “Gioca la Nazionale?” Mah…
Forse questo è il contrappasso per aver trattato male il calcio. Abbiamo avuto Nazionali sempre paurose, incapaci di schierare insieme i migliori per giocare a viso aperto. Schemi, tattiche, moduli: due palle di gioco all’italiana. Abbiamo scartato fior di campioni e ora raccogliamo ciò che abbiamo seminato. Ci sarebbe da mandare all’inferno calcistico mezza Federazione, passata e presente.
Il Dio del calcio ama i soldi, ma non perdona il brutto gioco — e soprattutto non perdona le bestemmie contro i propri profeti. In Italia, purtroppo, siamo blasfemi e arroganti.
C’era una volta la Nazionale. Estate 1994: il cuore in gola tra le curve, il televisore di un’amica durante una sfilata a Cerano, i gol di Baggio alla Spagna. Quella era passione. Grande Baggio, perdona loro: non sanno neanche più che gioco stanno giocando”.
Massimo Moletti





















