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C.J. Garton – “Tales of the Ole West & Other Libations to Please the Palate” (2022) by Trex Roads

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Cosa significa essere un musicista indipendente negli Stati Uniti? Ecco se dovessi rispondere a questa domanda sicuramente dovrei citarvi l’arte di C.J. Garton. Uno che suona quello che ama suonare, canta quello che ama cantare, che adora i suoi fans e che crea qualcosa non per piacere alle classifiche o per sottostare a qualche ordine “superiore” di qualche etichetta ma perchè ci crede e lo fa con sincerità e passione, due cose che gli amanti di questi artisti pretendono.

C.J. è nativo dell’Oklahoma ed è cresciuto lavorando nel ranch del padre, sveglia presto e vita dura, quindi fin da bambino ha capito quali sono i valori della famiglia e dell’essere indipendente ma non ha mai abbandonato l’amore smodato per la musica.

 

La sua è una solida carriera, fatta di tantissimi concerti nei locali di Nashville e non solo, ha alle spalle un bellissimo disco intitolato solo C.J. Garton del 2018 e un EP del 2020, The Gun ma ormai è più di 10 anni che si fa apprezzare nei circuiti country per la sua voce baritonale e intensa e per la sua musica ispirata ai grandi outlaw del passato.
Ho conosciuto Garton come sempre mi capita, frequentando gruppi di appassionati di country indipendente e sono rimasto colpito dall’intensità della sua voce e dalla sua musica dal sapore western. Ho cominciato a seguirlo sui social e a scoprire i suoi pezzi e poi sono venuto a conoscenza di questo progetto.

 

Un disco doppio prima prodotto solo in vinile (e ora vi parlerò di questa opera d’arte) e poi uscito anche in digitale e in streaming, un lavoro lungo ma che merita di stare fra le uscite più belle e riuscite di questo 2022, anche se il disco ha preso vita nel 2021.
Il vinile vi dicevo: io sono un collezionista e se posso compro i dischi di questi artisti in LP e questo ha avuto una gestazione lunga ma il risultato è un capolavoro.

 

Doppio e colorato, un disco rosso scuro e uno verde-turchese ma che se lasciato al sole diventa fosforescente, stupendo! In più la copertina è una stampa lenticolare che cambia immagine se si cambia angolazione di visuale, passando dallo scheletro di un cowboy a quello di un nativo americano, in pratica le due anime che convivono in C.J.Garton.

 

 

I titoli dei 20 pezzi che compongono questa opera monumentale, sono tutti tradotti anche in alfabeto Cherokee : un lavoro immenso di ricerca che porta un risultato unico. (all’interno si trova anche l’alfabeto stesso che permette la traduzione dei titoli con l’esatta pronuncia).
Se pensate che il disco è auto-prodotto, avrete l’esatta statura di questo artista che senza il supporto di una major e solo con il sudore del duro lavoro, crea un disco che resterà nel tempo.
Questo lungo preambolo non deve però distogliere l’attenzione da un grande disco di outlaw country, una macchina del tempo musicale che ci trasporta al suono dei grandi del passato a cui C.J. Garton si è ispirato: Merle Haggard, Waylon Jennings, Johnny Paycheck per dirne alcuni.
C’è un tocco personale nella sua musica ed è la sua voce e quella sua chitarra acustica, un sentimento fra il malinconico e il blues folk gotico che ne fanno un artista assolutamente originale, non inventa nulla ma la ricetta dei grandi viene declinata senza farne solo una copia fine a se stessa.
Devil, che apre il disco, sembra un country acustico che la voce di Garton guida sapientemente e a cui il violino di Joe Spivey dona quel sentimento western ma i cori e l’elettrica la avvolgono di un mantello, come vi dicevo prima, quasi gotico.
I Went Crazy è uno splendido malinconico brano country, quel violino che sferza l’aria e quella voce che sembra quasi rotta dall’emozione, non ci sono classifiche qui ma solo vita vera e sentimenti forti.

 

Drinking Man è l’ammissione di come le dipendenze possano distruggere tutto quello che è bello nella vita, è un pezzo così classico da sembrare proprio una sessions con qualche grande del passato. Malinconico e dannatamente ben scritto.
Il tributo al passato arriva sotto forma della cover di Ain’t No Good Chain Gang, un brano che Johnny Cash portò al successo nel 1978 e che Garton fa suo in maniera assolutamente fantastica, quasi come l’avesse scritta lui. Non sfigura di certo, anzi è una delle versione più riuscite di questo bellissimo brano.
La voce di C.J. in qualche modo ricorda quella del Man In Black per eccellenza, quella profondità e quel sentimento malinconico, entrambe segnate da una giovinezza di duro lavoro.
La più autobiografica del lotto e anche, secondo me, la più bella è If Daddy Could See. Uno struggente brano sorretto dal violino e dal mandolino, un sentito ringraziamento al padre che lo ha reso l’uomo che è oggi e che sarebbe orgoglioso del figlio e del suo successo come musicista e come essere umano.
Quasi per dare una sterzata alla malinconia che era calata sugli speaker, Garton ci regala uno scatenato brano di honky tonk, Highway We Call Home, una celebrazione della vita sulle immense autostrade americane. Bellissimo il lavoro della chitarra elettrica e la voce di C.J. dimostra tutta la sua versatilità non sfigurando nemmeno in brani con meno pathos e più velocità.
Good Gone è un brano outlaw country fino al midollo, violino e chitarre, sentimenti forti e quella voce che è come uno strumento tanto è intensa e riconoscibile. L’assolo di chitarra alla fine è un gioiello. Bellissima.
Bitch at the Bottom è un brano malinconico guidato dal violino di Spivey e dall’acustica di Garton, un pezzo intenso che ci parla della durezza dell’essere un artista indipendente bloccato alla base della scala che è il successo.
Fantastico l’arrangiamento della spettrale Skeleton Crew, un brano che potrebbe benissimo stare in un bel film western e a cui la voce baritonale di Garton, regala un’ulteriore aura di pathos e dramma. Questo artista ha talento e meriterebbe di stare in cima alla scala del successo.
Rimaniamo nelle storie del vecchio west e stavolta con Hurricane Chief, entriamo nella storia di un leggendario capo Cherokee con un brano sorretto dal ritmo e dalla chitarra, dalla pedal-steel e da un sentimento quasi blues. Un brano che si stacca dal sentimento malinconico del disco ma che non stona anzi regala una poliedricità sonora che è solo un merito di un grande artista e di una grande band alle spalle.
Fool Hearted Lover è un’altra canzone di cui il grande Waylon Jennings sarebbe stato orgoglioso e che in Texas ameranno come fosse loro, in fondo l’Oklahoma non è così lontano. Il viaggio nel tempo è così piacevole che vorresti non fosse, ormai, la fine del disco.
C’è ancora tempo per lo splendido violino che introduce Longtime Traveller, un brano dal sapore celtico, a cui le sferzanti chitarre e il canto di una voce femminile, regala ulteriore profondità.
Chiude il lavoro una dedica intensa e riuscita a tutti i suoi eroi musicali, che non sono più tra noi, All My Heroes Have Halos, una ballata country da brividi. Se esiste un Paradiso della musica country, sicuramente George Jones e Merle Haggard, staranno sorridendo ascoltando questo bellissimo pezzo.
Un disco che è un piccolo gioiello, come amo definirlo sia per gli occhi che per le orecchie. Se amate la musica del popolo, quel country che è ispirato dai sentimenti e dalla vita dura o se amate le storie e il sapore del Vecchio West, allora questo doppio è per voi e C.J. Garton merita tutta la vostra attenzione e amerete la copertina stupenda.
Se poi avete dei risparmi e volete fare un investimento sicuro e di valore, allora compratevi la versione in vinile e godetevi un’opera d’arte che allieterà come un quadro le vostre case, se poi amate anche i film western, allora non pensateci nemmeno un secondo.

Buon ascolto,
Claudio Trezzani by Trex Roads www.trexroads.altervista.org
(nel blog trovate la versione inglese di questo articolo a questo link: https://trexroads.altervista.org/tales-of-the-ole-west-the-other-libations-to-please-the-palate-c-j-garton-2022-english

 

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