Non esistono partite già vinte, lapalissiano. Esistono, però, incastri tecnici più o meno favorevoli. Taylor Fritz è signor giocatore e la finale raggiunta agli Us Open non è certo ascrivibile al caso. Ha battuto Berrettini, Zverev e Tiafoe, tre clienti scomodi sul cemento, e non è certo colpa sua se Djokovic si sia suicidato anzitempo lasciando zoppa la parte bassa del tabellone. Ma le sue armi migliori, che non sono banali, incrociano i punti forti di Jannik Sinner che, pertanto, finiscono per essere depotenziate. E variazioni al tema principale, purtroppo per lui, Taylor non ne ha molte. Così, pur facendo la sua onesta partita, inevitabilmente con Jannik da corsa ci perde nove volte su dieci.
Certo, una percentuale di prime palle migliore in avvio gli avrebbe forse consentito di stare agganciato al suo avversario e dargli qualche certezza in più per rompere il ghiaccio ma, per lui, sempre di prima assoluta in una finale Slam si è trattata e una comprensibile tensione gli deve essere perdonata. Per la verità, dopo un inizio tremebondo con break a freddo e polveri bagnate, Fritz era pure riuscito a rientrare nel set grazie ad un erroraccio dell’azzurro, il cui dritto al volo affossato in rete gli dava una chance insperata per rimettersi in carreggiata. Niente da fare: quattro giochi in fila inanellati da Sinner, infatti, mandano rapidamente in archivio il primo parziale dal quale appare chiaro che questa partita l’americano non ha gli strumenti per vincerla.
Anche se il dritto, quando i piedi sono ben messi, è una sentenza ed il servizio comincia finalmente a carburare, l’impressione è che Sinner abbia in tasca un certo margine da far valere al momento opportuno. Il decimo game del secondo parziale, per esempio, quando un chirurgico turno di risposta giocato a mille lo porta ad un solo set dal titolo, che fa scopa con quello del dodicesimo del terzo parziale che, poco dopo, gli vale il match. In mezzo un apparente stato di equilibrio, per una finale resa poco affascinante dal divario di cilindrata tra i finalisti. Per Sinner, allora, secondo Slam in stagione, come Alcaraz, e prima posizione nel ranking (quasi) blindata fino al traguardo dell’anno nuovo. Inutile dirlo, sarebbe l’ennesima prima assoluta in casa Italia, in un periodo storico irreale, almeno per chi ha l’età per aver vissuto gli ultimi decenni di vacche magre
Male per lo spettacolo la prematura sconfitta di Alcaraz che, anche quest’anno, pare essere arrivato bollito a New York e, in conseguenza di ciò, il quarto di finale tra Sinner e Medvedev resta la finale virtuale di un torneo onestamente non memorabile, almeno in senso assoluto. Torneo nato male per via di un sorteggio colpevole di aver piazzato i tre giocatori più forti dalla stessa parte di draw, quella di Jannik, con il solo acciaccato Djokovic ad impreziosire, ma esclusivamente di blasone, la parte bassa, che ha consentito alla non memorabile coppia yankee Fritz-Tiafoe di giocarsi financo la finale. Finale della quale c’è poco altro da aggiungere se non un piccolo ma interessante dettaglio che esemplifica piuttosto bene la consapevolezza nei suoi mezzi e la lucidità di Sinner.
Sinner che, una volta vinto il sorteggio, ha scelto di rispondere. Scelta controcorrente, stare avanti nel punteggio per far rincorrere l’avversario è ciò che si prova a fare di solito, ma architettata per mettere a nudo l’imbarazzo iniziale di un avversario con la pressione di una nazione intera sulle spalle che attende un Major chissà ormai da quanto. Detto è fatto. Per chiudere un 2024 da urlo, ci sarebbe ora l’obiettivo ATP Finals. Torneo, il Master che fu, che Sinner ha perso un anno fa per mano di Djokovic ma dal quale è fuoriuscito il giocatore che ammiriamo oggi, la più classica delle sconfitte pedagogiche. Appuntamento, dunque, a Torino dove ci si augura per la salute del tennis di rivedere il duo Alcaraz-Djokovic in condizioni accettabili e, ovviamente, un Sinner ancora affamato dopo un periodo non semplice anche per le note vicende non prettamente di campo.
Considerazione finale un po’ nostalgica. Il 2024 sarà ricordato per essere il primo anno dal 2003 in poi senza che uno dei big three sia riuscito a vincere un torneo del Grande Slam. Di Djokovic si è detto e, con Federer in pensione da un po’ è Nadal che lo è di fatto, è davvero finita un’era meravigliosa. Nella rivalità potenzialmente entusiasmante Alcaraz-Sinner c’è tutta la speranza di non soffrire troppo di nostalgia. Intanto, complimenti Jannik, missione compiuta. E non sta a noi insegnare quanto sia difficile essere il favorito.