E si spalancano gli inverni trapassati appena una parola risveglia la memoria. Aperti. Lì sono, in una prospettiva di nevi candide sui tetti, e ammontate grigiastre e sporche ai lati delle strade nere di asfalti piangenti di ghiaccio e sale. Profetica, nella stagione a crinale dell’Ottantuno, la bandiera di Solidarnosc. Annunciava, il drappo, gli anni che sarebbero venuti: i nostri.
Allora, nella suddivisione mondiale marcata dalla Cortina di Ferro, secondo la metafisica definizione di Winston Churchill, iniziava a trapelare in televisione, i telegiornali della sera, il volto proletario con i grandi baffi spioventi dell’operario dei cantieri navali di Stettino Lech Walesa e quello severo di Wojciech Jaruzelski, incorniciato da statici occhiali quadrati, generale e presidente della Polonia. Nell’acuto, carnificato e fremente: “Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo”, Giovanni Paolo II, Karol Wojtyla, il Papa venuto dal freddo, predisponeva la frantumazione dell’ideologia comunista, proseguendo poi, e alla fine inascoltato, all’abbattimento del conseguente capitalismo: ingegneria umana e libertà monetata, gli inganni secolari. Mai così grande teologo della Storia fu tanto disatteso e inesaudito e quindi, la conseguenza, i guasti profondi di un oggi che pare, nella sua immanenza materialista, non finire. Ecco, così l’urna di quegli anni. Gli Ottanta. Antichi purtuttavia presenti. Anni di “formazione”, per uno studente liceale. Anni del “noviziato” per dirla con il grande Goethe. La formica, Lech Walesa, fu centauro in un mondo di draghi. E ancora in un inverno tra i limitrofi, un otto dicembre, quando, così il destino, mi volle ramingo in una piazza del Duomo spazzata da un vento artico, sfilare, nell’indifferenza irrisoria della merdosa borghesia milanese, al fianco di un gigante, nel senso letterale della parola, dietro il vessillo della Solidarnosc proletaria polacca cattolica insorta.
Parlammo, mai ci si era visti prima, di Anna Pozzi e Wilslava Szymborska il cui nome fuoriusciva dalle commessure della Cortina. Con quel gigante, giussaniano indi ciellino della primissima ora, Cesare Zorzoli, chirurgo vascolare, nella collimazione della vita ci riaccompagnammo vent’anni dopo per infine attendere, con profondo dolore inesausto, al suo ufficio funebre sempre nel gennaio. E sia, nel riverbero degli anni andati i morti si ripresentano belli e ben fatti, al pari di noi. L’eterno. Ora, in quell’urna, si scrive, lo studente liceale di cui qui si scrive, si fortifica l’ossa. E lo spirito non gli sarà meno. Già in casa, al desco, alla comunanza delle educazioni e dei costumi che nella famiglia maturano ad indirizzo di vita, il padre non gli fece mancare il proprio esserci. Un democristiano. Mario. Non un ricco, non un povero. Un lavoratore, un uomo di quel ceto medio che, faticando, all’indomani di una guerra scellerata e perduta, gli si è fatto grande, il ceto medio, nel ricostruire la penisola. E grandissimo nel non cadere nella trappola ideologica, sirena post bellica, del comunismo europeo. Il Mario non indirizzò direttamente il figlio, gli si fece padre com’è un padre nella consapevolezza che la prole non gli è di proprietà, semmai anima condivisa. Ed in quella condivisione nella quale la libertà gli è fondo aurifero, lectio magistralis di Gesù Cristo, il figlio Luca ne colse il valore: la capacità del padre di rispettare l’avversario perché mosso dal medesimo sentire: la passione per l’uomo.
Già caratteristica questa del Mario Del Gobbo di non infierire, mai, soprattutto post, mai, sulla persona; quanto invece criticare, anche con la nutrita coloritura del toscanismo, una decisione politica. Ma uomo, l’uomo gli è per lui, il Mario, quello che è per il figlio, Luca, quello che dovrebbe essere per tutti: sacro. Ed eccoci qui ad oggi dunque. Ad un Luca Del Gobbo, figlio di Mario, che prese un viottolo politico già nel liceo di quegli anni dentro l’orizzonte di un docente di religione Don Giampiero Baldi che andava narrando la vicenda di Solidarnosc. Il noviziato percorso ha condotto il Del Gobbo, già Luca per gli amici, assessorato magniloquente della Regione Lombardia Università, Ricerca ed Open Innovation. E quando gli ho chiesto, come deve un cronista, cosa significa, in soldoni, innovazione “responsabile” perché è lì che, a mio avviso, ci sta l’uomo, lui, il dottore Luca Del Gobbo, già Sindaco (ottimo n.d.r.) di Magenta indi consigliere ed Assessore Regionale, mi racconta tutto quello che ho scritto sopra. Ed in quel responsabile ci sta tutta la passione per l’uomo. Quello reale, quello di carne di ossa e di spirito.
Emanuele Torreggiani