Lo abbiamo già fatti negli anni scorsi ma lo rifacciamo volentieri. Repetita iuvant, del resto. Questo giornale difende con strenua forza i falò di Sant’Antonio ma soprattutto la cultura tradizionale loro sottesa: i falò sono baluardo della storia contadina, sedimentata nei secoli, che anche nell’epoca della tecnologia e dell’intelligenza artificiale riveste un’importanza essenziale. Difendiamo tutti i falò e sosteniamo chi li fa, ovviamente nel rispetto di leggi e normative (Regione Lombardia li diffonde tramite i Comuni, che giustamente vigilano sul loro svolgimento).
Tra oggi e domani segnaleremo tutti quelli di cui verremo o siamo già a conoscenza. In questa sede ci piace ricordarne soprattutto uno: quello organizzato per domani (ovviamente..) dalla sezione dei Cacciatori di Corbetta. ‘Custodi della Tradizione’: i cacciarori si ritroveranno alle 14 alla cascina Garavaglia di Albairate per una battuta, a seguire il rito del vin brulè dalle 17 e infine la tradizionale cassoeula da Giorgio, a Battuello. Costo di adesione 25 euro per la cacciata e altrettanti per la cena. Bellissima iniziativa: complimenti!
LA CULTURA DI SANT’ANTONIO
Il connubio Sant’Antonio Abate – Lombardia è davvero sentito e vissuto. In molte località della regione si svolgono i riti in occasione della tradizionale festa in onore del Santo protettore degli animali, che viene celebrato annualmente il 17 gennaio. Falò e fiaccolate, fuochi e pire, spesso accompagnate da processioni, si incontrano in numerosi luoghi del territorio in occasione delle celebrazioni per il giorno di Sant’Antonio. Le modalità di celebrazione del rituale variano da luogo a luogo, ma rimangono invariati due tratti comuni: il fuoco e la benedizione degli animali.
Nella notte del 17 gennaio si riaccenderanno quindi i tradizionali falò per festeggiare la ricorrenza liturgica di Sant’Antonio Abate. Un suggestivo gioco di luci e bagliori sprigionati dalle fiamme celebrano un rito millenario e propiziatorio legato alla figura di Sant’Antonio, patrono di macellai, salumieri, contadini e allevatori e protettore degli animali domestici. Molte le comunità che si radunano attorno a grandi pire di legna e sterpi che bruciano fino alla prime luci dell’alba in un clima di festa in cui si balla e si consumano vin brulè e dolci casalinghi.
Antonio fu un eremita egiziano, vissuto nel IV secolo dopo Cristo, cui si deve l’inizio del cosiddetto “monachesimo cristiano”, ovvero della scelta di passare la vita in solitudine per ricercare una comunione più intensa con Dio. Evidentemente bastò questo “primato” per diffondere il culto in tutta Europa, cui si aggiunsero, nel tempo, molti tratti popolari.
Fin da epoca medievale, Sant’Antonio viene infatti invocato in Occidente come patrono dei macellai, dei contadini e degli allevatori e come protettore degli animali domestici; questo, forse, perché dal maiale gli antoniani (i seguaci di Antonio) ricavavano il grasso per preparare emollienti da spalmare sulle piaghe. Antonio, dice la tradizione, era anche un taumaturgo capace di guarire le malattie più tremende. E poi, c’è la credenza popolare che vuole che il Santo aiuti a trovare le cose perdute. Al nord si dice “Sant’Antoni dala barba bianca fam trua quel ca ma manca” e al sud – dove viene spesso chiamato Sant’Antuono, per distinguerlo da Antonio da Padova – “Sant’Antonio di velluto, fammi ritrovare quello che ho perduto”.