Sara e Jasmine, le sorelline italian dorate ed olimpioniche

Storica, splendida affermazione delle azzurre a Parigi

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Oro, se lo sono preso. Sono le più brave ma, al solito, non è garanzia di nulla. Poi, cosa c’è di più difficile di rispettare un pronostico che ti vede favorito? Sara Errani detta Sarita e Jasmine Paolini detta Jas, in questo 2024 avevano già fatto le prove generali. Per esempio, quando, sempre a Parigi ma nel contesto dello Slam disputato solo poche settimane fa, cedevano il passo in finale alla coppia Gauff-Siniakova, acquisendo nella sconfitta la consapevolezza di poter tornare in Bois de Boulogne ancora più determinate in ottica olimpica. Così è andata.

La finale, al cospetto delle fortissime russe Andreeva-Shnaider – che le persone a modo del CIO, inclusivo e tollerante ma solo quando gli fa comodo, hanno privato della loro bandiera al pari di tutti i connazionali in gara – non è stata una passeggiata, sempre a proposito di pronostici. Detto della competenza delle avversarie, due ragazze che l’arte del doppio la padroneggiano con disinvoltura, le incognite per le azzurre non erano proprio marginali a monte del match. Se, in questo momento, Sara guarda tutti dall’alto, Jasmine, che è singolarista eccezionale ma ciò vale solo fino ad un certo punto, resta ancora in fase di apprendistato nella disciplina di coppia e, nello specifico, pure stanca morta per il tour de force alla quale si è sottoposta nelle ultime settimane, nelle quali ha messo nel motore una quantità esagerata di ore di gioco. Errani, invece, che ha un master universitario in volée e affini e da migliorare non ha più nulla, di primavere ne conta trentasette (come Djokovic) con il rischio di una noia fisica sempre dietro l’angolo. Il timore, quindi, era quello di concedere alle avversarie qualche vantaggio di troppo. Da ultimo, la tensione per l’evento, qualcosa di indecifrabile fino a quando si manifesta. E può abbattersi su chiunque.

L’approccio di Jas, in tal senso, non è stato dei migliori, succede. Infatti, il primo parziale è un mezzo calvario nel quale le russe imperversano, forti di una superiore potenza balistica. I movimenti delle azzurre non sono quel che si dice un tutt’uno e Sara, in un clima da naufragio, fa obiettivamente quel che può. Il punteggio è, pertanto, lo specchio di quanto visto in campo.

Jasmine, però, è campionessa vera e dissolta la tensione inizia a macinare il suo tennis. In altre parole, il dritto comincia a fare male alle avversarie, ora costrette a fronteggiare il cannoneggiamento dell’ultima finalista di Wimbledon. Sara, imperterrita, continua nella sua direzione d’orchestra e non è certo un caso che l’inerzia si tinga di un color azzurro intenso. Che l’oro olimpico sia assegnato al Super tie-break finale, quindi, è la più giusta conclusione possibile per una partita di cotanta importanza. E l’epilogo diventa un abbacinante manifesto delle qualità di una giocatrice, Errani, che sarà ricordata come una delle più grandi doppiste dell’Era Open.

Sarita, in cattedra, sembra Edberg o Novotna, e si produce in una sequenza di volée senza soluzione di continuità; al punto che le avversarie devono aver pensato di giocare contro un muro gigantesco. Ironia della sorte, le hanno sempre rimproverato di essere troppo piccola per il tennis moderno. Ignoranti. La qualità tecnica è esagerata, figlia di una mano dalla quale farsi accarezzare è uno sfacciato privilegio, con quella tattica che non è da meno. Jas, in tutto questo bendidio, non sta certo a guardare. Come si suol dire, fa legna da fondo campo come le è richiesto dal copione ora rispettato alla lettera. Intensità, la sua, per scardinare la resistenza delle russe, mentre Sara osserva e poi finalizza, rimbalzando come una molla nei pressi della rete. Killer instinct, di questo si tratta.

Le italiane fanno corsa di testa, mettono il naso avanti fin dal primo punto del tie-break e non si fanno più acchiappare, anche se le russe fino all’ultimo restano ancorate alla partita con garra encomiabile. Oro, il primo nella storia olimpica azzurra, che fa scopa con il bronzo di Musetti, per una spedizione italiana da ricordare. Nononostante l’assenza di Sinner e Berrettini avrebbe potuto complicare i nostri propositi bellicosi. Per Paolini è la giusta ricompensa per una crescita tennistica esponenziale e anche un po’ di sfortuna, senza la quale, chissà, forse uno Slam se lo sarebbe già preso. Per Errani, infine, la chiusura di un cerchio che si chiama Career Gold Slam. In soldoni, la vittoria nell’arco della carriera dei quattro Major e delle Olimpiadi. Prerogativa di una élite che più élite di così non si può.

Errani, nel suo periodo migliore top ten e finalista al Roland Garros pure in singolare, se n’è sentita dire di tutti i colori nel corso degli anni, soprattutto da quelli che si definiscono addetti ai lavori. Pallettara, senza servizio, noiosa, miracolata, e amenità varie. Guerriera, che è l’aggettivo più consono, ha sempre tirato dritto per la sua strada senza mollare di un centimetro, anche quando l’età l’ha relegata a palcoscenici non sempre indimenticabili ma calcati con l’umiltà dei campioni e una passione incrollabile. Questo oro, allora, se non è la sua definitiva rivincita, ci manca poco.

Che meraviglia queste sorelline d’Italia, protagoniste di una pagina di tennis che si farà fatica a dimenticare.

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