I bookmakers non sbagliano quasi mai. Non che in questa circostanza fosse particolarmente difficile ma, a valle delle due semifinali maschili, le quote apparentemente troppo punitive per Djokovic e Musetti hanno trovato il giusto significato. Hanno perso entrambi, contro i due giocatori oggi più forti al mondo, ma le performance di assoluto spessore che hanno fornito invogliano ad un paio di considerazioni.
Per lignaggio, prima spetta a Djokovic. Il giocatore più vincente della storia, ormai ad un passo dalla quarantina, ha inchiodato Sinner in campo per tre ore e tre set conclusi sul filo di lana. Alcaraz a parte, non ci riusciva nessuno da un bel po’. Nel terzo parziale, inoltre, il serbo ha avuto tre palle per chiudere ma un po’ la bravura dell’azzurro e un po’ gli errori commessi in proprio gli hanno impedito di allungare ulteriormente il match. Ciò per dire che quella di ieri sera è stata una partita vera che Djokovic ha affrontato con l’umiltà dei campioni che, prima di arrendersi, le provano davvero tutte e anche di più.
In modalità operaia, Nole ha impostato una gara di gambe, polmoni e cuore per provare a colmare l’attuale divario di cilindrata ma, appunto, non è bastato. A tratti commovente, la partita di ieri ha ricordato in modo indelebile, e più di molte delle sue vittorie, il perché nessuno di questo universo abbia saputo vincere più di lui. Lezione universitaria del rigetto della sconfitta davanti ad un fenomenale Sinner, sebbene fiaccato nel fisico da due decadi di lotte furibonde. Perché la testa è quella di un robot come nei giorni belli. Sinner che ha dovuto realmente faticare per scrollarsi di dosso l’avversario che ha sempre dato l’impressione di poter restare in scia aspettando lo spiraglio giusto che, purtroppo per lui, il numero uno del mondo non gli ha meritevolmente concesso. L’avrebbe persa comunque ma il terzo set se lo sarebbe meritato di vincere come di regalarsi almeno un’altra ora di passerella sul Chatrier.
Una pellicola, quella di ieri sera, che gli avversari farebbero bene a guardare attentamente. Pedagogia tennistica elargita dal Djokovic di fine carriera che suggerisce altresì un pensiero che può risultare scomodo. Il livello del miglior serbo – quello del 2011 che, seppur in compagnia di Federer, Nadal, Murray, Wawrinka tutti prossimi al loro acme non perdeva mai – difficilmente può essere raggiunto, per intensità ed efficacia, dai protagonisti attuali ai quali, anche a mezzo servizio, tiene ancora testa. Spesso divertente come una cartella esattoriale nella sua gestione computerizzata dei match, Novak, per quanto esibisce da tre generazioni di tennisti, si merita davvero la qualifica di GOAT. Bravo Jannik, quindi, a non subire più del dovuto la sua personalità ingombrante.
Capitolo Musetti. Quella di ieri è un po’ una storia già vista e non è affatto una critica nei suoi riguardi. Alcaraz è giocatore che, se decide, non è affrontabile. Uno da “moments” nell’accezione di Wallace, lo scrittore. Segmenti di partita nei quali, a metà tra la trance agonistica e la follia dei geni, nulla gli è precluso e, quel che più conta, è immune a ogni antidoto. Anche ai trucchi da illusionista di Musetti. Così, dopo due set meglio giocati dall’azzurro che conferma la sua crescita esponenziale, Carlitos ha innestato la marcia alta e ha preso il largo. Tutto merito suo, poco da recriminare per un Musetti anch’esso meraviglioso. Lorenzo che per far partita pari, e l’ha fatta, ha dovuto necessariamente interpretare una maratona col piglio iniziale del centometrista, finendo per consumare tutto il serbatoio psico-fisico prima di potersela giocare fino alla fine. Quello che succede nel ciclismo a chi prova a rispondere agli scatti di Pogacar, il fuorigiri. Scelta obbligata per l’italiano forse più talentuoso di sempre che per due set e due ore ha messo in campo tutta la bellezza del tennis. Finalmente non più fine a sé stessa ma quale strumento efficacissimo d’offesa. Tanto che lo spagnolo ha dovuto realmente esplorare tutta la sua inesausta competenza tennistica per non fare scappare Musetti due set avanti e chissà a quel punto come sarebbe andata a finire. In mezzo ci sarebbe pure la noia fisica che ha spinto Lorenzo a dire basta ma, in tutta onestà, il cedimento strutturale del fronte di guerra era già avvenuto.
Un po’ come accadde a Montecarlo, qualche settimana fa. Uscita dai blocchi stratosferica e fine anzitempo del carburante con annesso infortunio. Buono così, esperienza fondamentale nel suo percorso di avvicinamento al gotha. Alcaraz, del resto, è qualcosa di visto pochissime volte, un privilegio assistere al suo spettacolo. Che potrà essere sinusoidale e spesso senza uno straccio di filo logico ma lo colloca su un pianeta elitario fatto di pochissimi abitanti nella storia secolare del gioco. Buon per i suoi avversari, Sinner lo sa benissimo in ottica finale, che non tutte le giornate del murciano siano animate dallo stesso animus pugnandi.
Chiosa finale per le nostre ragazze del doppio. Sara Errani, la professoressa, e Jasmine Paolini sono in finale. Ancora una volta. Sfideranno nel pomeriggio Danilina/Krunic dopo essersi sbarazzate delle più forti Andreeva/Shnaider lasciando per strada un solo game. Favoritissime, nelle loro corde la possibilità di sollevare il primo Slam insieme. Nell’attesa della possibile prima volta parigina anche per Sinner.
Buon tennis a tutti.