Sport del diavolo, diceva il compianto Roberto Lombardi. La finale del Roland Garros appena conclusa, che ha visto prevalere Carlos Alcaraz al termine di un’estenuante maratona psico-fisica, è paradigma di quanto sia complicato e pure bastardo questo sport.
Alcaraz sa fare più cose, Sinner non sbaglia una scelta nemmeno sotto tortura. Alcaraz è una montagna russa, alterna momenti estremi. Bellissimi e pessimi. Sinner imposta la sua velocità di crociera che non cala mai. Se Alcaraz sta sopra si fa ovviamente preferire. Se, al contrario, sta sotto allora l’azzurro si allontana, inesorabile. Come un treno. Tutto sta a capire quanto buon senso e per quanto tempo il murciano riesce a mettere in campo. Poco per due set, poco di più nel terzo e nel quarto. Infatti, Jannik si inerpica fino al triplo match point sul 5-3 0-40 nel quarto con servizio dell’avversario. Meriterebbe davvero il trofeo per quanto fatto vedere in quattro ore di intelligenza e freddezza ma quell’altro, copia sbiadita di sé stesso fin lì, in uno dei tre match point con due piedi sul cornicione tira fuori il punto del torneo. Nel calcio sarebbe il gol della domenica. Un po’ come Djokovic che si divertiva a purgare Federer una volta giunto all’ultimo quindici con un colpo della solo apparente disperazione.
Quanto basta per dare uno scossone ad un match in ghiaccio e far uscire dal letargo uno degli “Alcaraz moments” che si abbattono sulla partita come un missile ipersonico. Sinner, forse un po’ a corto di gamba, con tutta la sagacia in corpo rimane su livelli superlativi e, soprattutto, agganciato alla partita ma quell’altro è ormai un fiume in piena. Fa cose che gli altri nemmeno pensano. Ciò non vuole dire sia sia dotato di senno ma il bilancio tra bene e male s’è spostato nel frattempo tutto dalla parte del primo.
E il surplus di qualità ha fatto tutta la differenza del mondo. Un super tie-break finale devastante, con i primi sette punti vinti da Alcaraz difficili da replicare pure alla PlayStation. E pensare che sul finire del quarto set il linguaggio del suo corpo era tendente al funereo. L’azzurro, oggi doverosamente numero uno del ranking, ha dimostrato ancora una volta che il suo pacchetto completo è complessivamente il più affidabile a lungo termine e che il gap tecnico con Alcaraz, chi si ostina a non vederlo è in malafede soprattutto se ascrivibile alla schiera degli addetti ai lavori, può essere colmato attingendo ad altre fonti. La bordata di dritto ad occhi chiusi, quella che ha girato il match, non sempre finirà per spazzolare la riga. E siamo certi che, dei due, a fare maggiormente tesoro della partita odierna sarà proprio Jannik. Magari già a Wimbledon.
In definitiva, nello sport del diavolo tutto è sempre molto sottile. Con lo spessore di un piccolo quindici nell’inferno di cinque ore di lotta senza quartiere. En passant, la finale parigina più lunga di sempre. Che oggi ha detto bene ad Alcaraz, domani chissà. Più ad ampio raggio, una rivalità, la loro, che potrebbe non fare rimpiangere più di tanto quell’altra da poco andata in archivio.