Resta con noi Nick, non ci lasciar, la notte mai più scenderà.. di Teo Parini

Ode al Principe australiano

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Nick Kyrgios, quello che le anime belle del tennis descrivono come bad boy per qualche racchetta dilaniata al cambio di campo o per la sua incapacità di omologarsi al diktat insipido del politically correct nelle esternazioni pubbliche, deve fare un annuncio. Criptico: l’annuncio dell’annuncio. Questa sera alle ore 21 di un non meglio menzionato fuso orario dalle sue pagine social farà sapere qualcosa, a quanto pare, di importante. Tanto dal doverlo, appunto, preannunciare. E, considerato che non gioca una partita praticamente da un anno e mezzo, il dubbio di sentire ciò che noi adoratori viscerali del piu grande talento vivente del dopo Federer non vorremmo sentire è piuttosto assillante. Nick, non è che stai per dire che può bastare così e che lo switch da tennista a cronista è irreversibile? No, eh.

Ventotto anni e una scarsissima propensione a sacrificare il bello della vita e pure il giusto, che nel suo caso significa aiutare chi sta indietro, Kyrgios, piombato come un uragano sul pianeta tennis quando giovanissimo fece secco Nadal (quello vero) a Wimbledon, numericamente parlando ha disatteso ogni attesa possibile. Insomma, tra cinquant’anni, quando la nostra generazione sarà ormai chiamata a fare altro e da altre parti, il rischio che saranno in pochissimi a parlare di lui, causa assenza dagli almanacchi, è concreto. Fortuna che siamo nell’epoca di YouTube e, chi avrà la fortuna di sentirlo nominare, potrà studiarsi la carriera dell’australiano che non vinceva mai, perché imbolsito dalle nottate al pub e allergico ad allenatori e metodi. Trofei a parte, Kyrgios, per almeno i prossimi due secoli, sarà considerato il più forte giocatore di ogni epoca a non aver sollevato al cielo manco un Mille ma, paradossalmente, il tennis gli deve tantissimo, checché se ne dica. Quando si è allenato se non con costanza almeno con una sporadicità non distruttiva, ha preso il trio Federer-Nadal-Djokovic al loro acme e li ha messi in riga. E lo ha fatto senza una straccio di idea tattica in testa che fosse una, così, di solo braccio.

Un arto eterodiretto dagli dèi del gioco, il suo, e governato da una delle mani più educate di ogni tempo. Mano dalla quale, parafrasando il Clerici-pensiero dedicato a McEnroe ma fa lo stesso, vorremmo essere accarezzati per quanto sensibile. Così, imparato molto alla svelta a non riporre aspettative sul suo operato tennistico, abbiamo goduto dell’eccezione alla regola, l’antidoto alla noia del tennis post Bollettieri, l’elevazione del talento a unica regola di vita e non solo quella sportiva. E chissenefrega se gli abbiamo visto lanciare la sedia al cambio di campo o abbiamo sentito urlare al suo box le peggio cose, del resto non ha mai ambito ad essere considerato l’allievo modello da indicare ai giovani. Perché quello che gli si è ammirato fare imbracciando la racchetta con l’aria di chi non vede l’ora di stringere la mano all’avversario per catapultarsi al bancone del bar ci ha ripagato di decenni – peraltro lontani dal concludersi – di tennis orripilante e stereotipato; degrado stilistico del gioco che fu di Tilden, Laver, Panatta e McEnroe. Quindi meraviglioso.

Per carità, tipo stano Kyrgios. Dunque, potrebbe essere la sua solita baracconata per informarci di quale sarà il torneo che lo vedrà fare il rientro nel circus. Magari proprio sull’erba di Wimbledon, dove un paio di stagioni fa a momenti ci scappava il colpo gobbo, con Djokovic puntuale e cinico nel ricordare all’ecosistema tennis che è sempre la meticolosità robotica l’unica via per il successo. Anche se i colpi sono quelli di Kyrgios. Altresì, potrebbe anche rendere partecipe i suoi tifosi dell’ennesima iniziativa benefica intrapresa per conto della fondazione che porta il suo nome e si impegna a fare sì che non esistano bambini di serie b su questo pianeta. È fatto così, Nick, buono come solo le peggiori teste di cazzo sanno essere. Noi, infatti, non dimentichiamo i giorni nefasti della pandemia e dell’impotenza generale. Quando lo potevi vedere rimbalzare da una casa all’altra del suo quartiere a consegnare la spesa a chi la spesa non poteva permettersi di farla. E di tante altre cose, al pari di un lungolinea di rovescio, il suo marchio di fabbrica, un tweener o una volée no look. Il tutto condito dal ghigno strafottente, ma che strafottente non è, di chi nella vita ha capito che è non prendendosi mai troppo seriamente che per definizione non si perde mai.

Certo, in tempo di guerra le cose importanti sono altre – che scoperta – ma per gli estimatori dello sport quale diffusore di bellezza la giornata di oggi rischia di non essere la migliore possibile. Perché, sì, Djokovic è un gigante epocale e pure Sinner è un campione di razza, ma se l’occhio non esige la sua parte ci si diverte solo a metà. E un match di Kyrgios sta ad uno di Rune – o di chi volete voi, a scelta – come novanta minuti di Rivera in mezzo al campo stanno a quelli di Furino. Staremo a sentire. Sperando, con tutto l’egoismo del caso, che quel diavolo di un Kyrgios annunci alla sua maniera di voler concedere a sé e al tennis un’ultima chance. Così, di puro talento ignorante, come piace maledettamente a noi.

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