Quelle panchine rosse contro la violenza

Il cosiddetto “femminicidio” e le violenze di oggi possono essere alcuni dei prodotti più tragici di questo capovolgimento che qualcuno si ostina ancora a chiamare “progresso”.

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Le violenze in questo mondo sono molte e, se proprio ne vogliamo parlare, non c’è che da coglierne “fior da fiore”: si fa violenza a chi, mediante aborto, viene eliminato prima di nascere (in Italia sette milioni, legali, dal 1978), se ne fa con l’ucciderlo quando è già nato per sbaglio o perché non gradito (lo chiamano con un neologismo mezzo latino “aborto post-natale”); se ne fa ai figli quando i genitori si dividono; se ne fa al giovane papà che, abbandonato dalla moglie/compagna, rischia di finire sotto un ponte senza il soccorso dei genitori anziani e talvolta non gli permettono neanche di vedere i figli; c’è anche la violenza contro le donne di cui in questi giorni, giustamente, si fa tanto parlare.

Per frenarle tutte, anche quelle contro le donne, sono convinto che non bastano le panche rosse nei parchi, né le passatoie e le scarpe rosse nella scalinata del Municipio, né il fiocco, anch’esso rosso, sulle auto della Polizia locale, come c’è scritto su “Rozzano News” di dicembre.

Sì, possono servire anche quei “segni” se ci aiutano a ricordare il gravissimo problema e a stimolare qualche riflessione sensata o almeno un moto del cuore; ma non bastano, anzi, senza un discorso più ampio e “a monte”, come si suol dire, rischiano di sembrare perfino innocuo folklore.

Sicuramente, invece, non sono “folklore” le adunate di donne arrabbiate contro il cosiddetto “patriarcato”. Mi spiego. Qualche “manovratore” occulto, in alto – il “Grande Fratello” o il “Padrone del mondo”… – ha inventato per loro quel vocabolo orwelliano e tramite i servi delle televisioni, lo ha dato in pasto a torme di ragazzette poco più che bambine – volto dipinto, anelli al naso – che, ubbidienti, hanno urlato slogans in rima e a comando nelle piazze, mostrando il vecchio simbolo femminista degli indici e pollici a rombo. Ora, se per “patriarcato” costoro intendono – come sembra – la figura del “padre” e la vogliono distruggere, allora per la società futura “senza padri” non ci sarà salvezza perché è destinata a regredire sempre di più nella barbarie e nella violenza che tutti, a parole, vorremmo frenare.

Mi domando, infatti: come si può bestemmiare il nome del “padre” senza con ciò demolire la Famiglia vera – uomo-padre, donna-madre che possono generare figli – e, quindi, l’intera società? È tragico che una verità così semplice e lampante venga ignorata e calpestata da tanta parte delle nuove generazioni. Ed è ancora più tragico che tale “ignoranza” venga avvalorata da politici qualificati eletti dal popolo sovrano! La cosa, comunque, non deve meravigliare ove si guardi a quanto è stato insegnato da molti “cattivi maestri” ai giovani almeno in questi ultimi 50 anni: il processo degenerativo, infatti, non avviene mai improvvisamente come un fungo dopo una pioggia di fine estate, esso matura in tempi lunghi anche di decenni e perfino di secoli.

Così, posso dire di essere stato testimone diretto di un segmento importante di tale “processo” fin da quando – protagonista, 1968, nelle università – l’ho potuto studiare man mano che esso procedeva nella corruzione della società; insomma ho avuto la ventura di vedere con qualche anno di anticipo i risultati negativi a cui saremmo andati incontro e lo dicevo ai miei “cinque” amici.

E, infatti, in quell’ “anno” furono poste le premesse che in seguito, un po’ alla volta e con strategie studiate dei “tre passi avanti e due o uno indietro”, ci avrebbero regalato quel mondo di cui oggi godiamo. Ricordo bene quando si cominciò a parlare di rivoluzione sessuale, di distruzione della morale detta con disprezzo “tradizionale”, di auspicata abolizione di ogni freno agli istinti, quando si separò il sesso dall’amore, si ridusse l’accoppiamento a sola attività meccanica, si diffuse la pornografia e si “democratizzò” la droga nel “basso popolo” dicendo perfino che essa avrebbe aperto la mente e la fantasia; ricordo che già allora un caro e indimenticabile amico, Emanuele Samek Lodovici, studiando bene l’argomento, aveva intuito con lucidità profetica che il nucleo del femminismo radicale era quello che in seguito sarebbe sfociato nella teoria del gender: puoi essere quello che vuoi, o maschio o femmina! E tutto ciò fu chiamato “libertà” e “progresso”.

I libri di Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Herbert Marcuse, “cattivi maestri”, furono in quel periodo letti da molti nelle università e citati come oracoli indiscutibili.

Da qui un capovolgimento epocale di tutto quello che – anche se con evidenti umani difetti – aveva, comunque, sostenuto la civiltà cristiana fino ad allora. Le vestali femministe, che, vecchie, compaiono ancora e applaudite nelle televisioni per raccontare le loro prodezze giovanili, invocarono all’epoca tutti i “diritti” possibili in una corsa folle che dura ancora ai nostri giorni; gridavano allora “non più madri, non più figlie, distruggiamo le famiglie!”, uno slogan sciagurato che ritorna ancora nelle femministe a distanza di decenni, infatti “Dio, patria, famiglia, che vita de mer..” c’era scritto in un cartello che una senatrice del Partito Democratico non si vergognava di esibire anni fa a Verona dove si era recata per impedire un convegno di cattolici sulla Famiglia.

Le ragazze urlatrici di adesso, di cui dicevamo, sono “nipoti” magari inconsapevoli di quelle vestali; le “migliori”, poi, sfuggono loro di mano e si scontrano con la polizia per dare l’assalto alla sede di “Pro Vita e Famiglia”, l’associazione cattolica di volontari che aiutano le donne povere che decidono di non abortire.

Perché meravigliarsi? In breve, voglio dire che allora si preparò un mondo capovolto e sicuramente più squilibrato rispetto a quello che conoscevamo prima: nel relativismo incipiente, nella distruzione di riferimenti precisi e di principi fermi, quello che in passato era creduto bene fu scambiato per male e viceversa: un disastro.

Così, il cosiddetto “femminicidio” e le violenze di oggi possono essere alcuni dei prodotti più tragici di questo capovolgimento che qualcuno si ostina ancora a chiamare “progresso”. Forse si vorrebbe che tale disordine che io, raffazzonando tra le cose che ho visto nella vita, cerco di interpretare e descrivere con mezzi artigianali, producesse pace, quiete, assuefazione e magari rassegnazione, atarassia, panacea, insomma felicità; purtroppo non è e – a viste umane – non sarà così; i più deboli, i più fragili, i più soli, i falliti, gli impazziti e presi nel vortice, sbandano, perdono il lume e uccidono perfino o si uccidono…; anche loro, però, sono vittime del disordine morale, civile e fisico preparato da chi ora ha i capelli bianchi e, dagli schermi televisivi, pretende ancora di catechizzarci! Può esserci una via di salvezza?

L’unica, in teoria, sarebbe l’inversione di marcia, cioè fare il contrario del male che anche dall’alto è stato versato in questi 50 anni! Ma ognuno s’avvede che la mia è solo fantasia di un pover’uomo perché, salvo miracoli di Dio, questo è impossibile in quanto le cose che negli ultimi decenni hanno corrotto la società, imposte anche dalle “leggi” come “conquiste di civiltà”, sono diventate costume radicato; e chi è quel pazzo che oserà discutere le “conquiste”? I politici? Non scherziamo! Molti di loro, post-comunisti di vari colori e gradazioni, sono ancora fermi alla “religione oppio dei popoli”, del vecchio Marx, una sentenza famigerata di condanna che, sebbene aggiornata e riveduta, dopo quasi due secoli resiste ancora nascosta nel cuore di tanti; così, nonostante i sorrisi e i giri di parole edulcorate e di circostanza di cui sono sopraffini maestri, è sempre l’antico odio che ripolla ad ogni occasione.

Costoro correranno verso sempre nuove “conquiste” e, quindi, è meglio non contare su di loro. Ma neanche sui loro contrari a Destra – adesso detti “conservatori” – si può contare perché per andare controvento dovrebbero avere un coraggio eroico che nessuno, nelle odierne circostanze, onestamente può pretendere! Alla prima mossa del più onesto ministro, il “Padrone del mondo” gli scatenerebbe contro tali orde violente che quelle che abbiamo visto assalire la sede di “Pro Vita e Famiglia” sarebbero solo una pallida immagine. E, infatti, tempo fa, una donna che in un comizio si è permessa di dire ad alta voce “io sono mamma!” è stata lapidata come se avesse proferito una volgare bestemmia. Un segno tragico dei tempi! Scartati i politici, a noi, poveri ma uomini liberi, che non dobbiamo rendere conto a nessuno se non alla nostra coscienza, non resta che una spontanea azione che io chiamo “privata”: parlare apertamente e scrivere a singole persone di buona volontà e cogliere in loro e valorizzarli quei coaguli di bene che esistono e resistono ancora abbondanti nel corpo del vero popolo.

Le famiglie naturali, cosiddette “tradizionali”, ci sono – grazie a Dio – e operano sicuramente per il bene dei loro figli; su queste bisogna contare, soprattutto sui genitori giovani che hanno bambini e ragazzi nelle scuole statali che rischiano di essere indottrinati da cricche di insegnanti post-sessantottini, nipoti – maschi e femmine – di quelle “vestali” e “cattivi maestri” a cui abbiamo accennato prima: costoro intervengono nella scelta dei programmi cosiddetti “culturali” in cui usano parole apparentemente innocue come “Educazione all’affettività” o “Educazione affettiva” e simili, invitano a parlare a scuola quegli “esperti” che vogliono loro, monopolizzano i consigli di classe e i collegi dei docenti, ostracizzano i pochi professori contrari, nel silenzio della maggioranza degli altri colleghi che, per quieto vivere, più spesso per ignoranza, non sanno e non vogliono intervenire: io ne ho avuto quarantennale esperienza e ne parlo a ragion veduta!

Ecco perché vorrei che i genitori, in prima persona si informassero e, se del caso, intervenissero con la loro legittima e naturale autorità sulle cose che sono veramente importanti e non su risibili quisquiglie come il più delle volte avviene: i figli li hanno generati loro e non sono “figli della lupa” e della Scuola!”.

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