Nel compasso dโorizzonte lโalba tersa di cangiante azzurro dove lโocchio acuto del contadino, estraneo allโinganno della magnificenza, sondava una impercettibile macchia bluastra scartavetrando il mento ispido con la sua destra intagliata dai decenni. Commisurรฒ, a raggio di sguardo, la fienagione buona per il taglio e si rimproverรฒ di non averlo eseguito nei giorni appresso che, a questโora, rivolto al suo cane che lโaveva seguito adiacente al passo, sarebbe secco e avremmo avuto agio di raccoglierlo e imballarlo nella stalla. Dobbiamo lasciarlo in piedi, il cane, un incrocio da cascina, mugolรฒ rivoltandosi alla coda con uno scatto metallico della dentatura candida, flesse elastico sui ginocchi lโuomo e gli passรฒ la mano in contropelo individuando la sanguigna ciste sovrapelle di una zecca. Buono, disse alla bestia che non si muoveva, accese una sigaretta soffiando a freccia sulla brace che colse il parassita. Lo finรฌ nel cavo del palmo in uno spurgo nerastro. Scodinzolรฒ in un rinforzo dโaria tesa che veniva da molto lontano portando al palato il sapore dolciastro del ghiaccio sciolto nella terra. Sul tratturo frammezzo il campo, lungo una teoria di formiche posรฒ lโinsetto che immediatamente venne preso dโassalto e, in un silenzio inaudito, la natura non parla, della dozzina di imenotteri solo uno rimase a trasportare la preda verso la fortezza sotterranea. La andava trascinando a ritroso, aggirando sassi e radici e fili dโerba che andavano frustando piegandosi sotto le raffiche in rinforzo. Lโuomo soppesรฒ la formica in comparazione con la zecca, un drago, disse al cane che annusava, alto il muso e le narici dilatate, lโaria fredda che sapeva di fieno tiepido. Se pioverร dritto non lo perderemo, se invece butta giรน di stravento, alto comโรจ, lo perdiamo. Ecco, ora quella macchia aveva invaso uno squarcio di cielo e il blu, non piรน irradiato diretto dal sole, era nero di rimbombo greve. Arriva.
Si girรฒ incamminandosi verso la sua casa che non si vedeva di lร dalla macchia dei frassini e mentre andava dโun passo il temporale guadagnava gli interminati spazi suoi. Giร andavano le alte cime smeraldine mostrando, nel turbinio, il pallore argenteo delle foglie e tagliando il silenzio in fischi sonori nei quali, lโorecchio allenato, avrร colto lo schiocco di un ramo spezzato che andava cadendo a rimbalzo sino al suolo. Il tuono echeggiava lontano. Ci va di striscio, disse, il fieno questa volta il buon Dio, lโha salvato. Della casa, dove il cane aveva giร guadagnato il portico, la tenda verde antistante lโingresso sventolava a resa. Cavรฒ gli scarponi nellโinfilata del vento acre di afa e terra e acqua che prese a battere dal cielo annottante. Battรฉ le suole sagomate e con lโunghia dellโindice estrasse una punta di quarzo testimone di un mondo sovrumano. Sedette ad una comoda di giunco a guardare la pioggia cadere fitta e verticale e immensa. Il cane, accucciato ai suoi piedi, di tanto in tanto voltava il capo verso la porta della casa. Non cโรจ piรน nessuno, disse lโuomo. E non rimarrร nessuno. Con un cricco lanciรฒ il quarzo splendente a incistarsi nel terreno del cortile. Lo seguรฌ nella parabola sotto lโacqua finchรฉ cadde, e si perse. Anche a cercarlo non lโavrebbe mai piรน trovato.
Emanuele Torreggiani