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Quarzo, di Emanuele Torreggiani

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Nel compasso dโ€™orizzonte lโ€™alba tersa di cangiante azzurro dove lโ€™occhio acuto del contadino, estraneo allโ€™inganno della magnificenza, sondava una impercettibile macchia bluastra scartavetrando il mento ispido con la sua destra intagliata dai decenni. Commisurรฒ, a raggio di sguardo, la fienagione buona per il taglio e si rimproverรฒ di non averlo eseguito nei giorni appresso che, a questโ€™ora, rivolto al suo cane che lโ€™aveva seguito adiacente al passo, sarebbe secco e avremmo avuto agio di raccoglierlo e imballarlo nella stalla. Dobbiamo lasciarlo in piedi, il cane, un incrocio da cascina, mugolรฒ rivoltandosi alla coda con uno scatto metallico della dentatura candida, flesse elastico sui ginocchi lโ€™uomo e gli passรฒ la mano in contropelo individuando la sanguigna ciste sovrapelle di una zecca. Buono, disse alla bestia che non si muoveva, accese una sigaretta soffiando a freccia sulla brace che colse il parassita. Lo finรฌ nel cavo del palmo in uno spurgo nerastro. Scodinzolรฒ in un rinforzo dโ€™aria tesa che veniva da molto lontano portando al palato il sapore dolciastro del ghiaccio sciolto nella terra. Sul tratturo frammezzo il campo, lungo una teoria di formiche posรฒ lโ€™insetto che immediatamente venne preso dโ€™assalto e, in un silenzio inaudito, la natura non parla, della dozzina di imenotteri solo uno rimase a trasportare la preda verso la fortezza sotterranea. La andava trascinando a ritroso, aggirando sassi e radici e fili dโ€™erba che andavano frustando piegandosi sotto le raffiche in rinforzo. Lโ€™uomo soppesรฒ la formica in comparazione con la zecca, un drago, disse al cane che annusava, alto il muso e le narici dilatate, lโ€™aria fredda che sapeva di fieno tiepido. Se pioverร  dritto non lo perderemo, se invece butta giรน di stravento, alto comโ€™รจ, lo perdiamo. Ecco, ora quella macchia aveva invaso uno squarcio di cielo e il blu, non piรน irradiato diretto dal sole, era nero di rimbombo greve. Arriva.

Si girรฒ incamminandosi verso la sua casa che non si vedeva di lร  dalla macchia dei frassini e mentre andava dโ€™un passo il temporale guadagnava gli interminati spazi suoi. Giร  andavano le alte cime smeraldine mostrando, nel turbinio, il pallore argenteo delle foglie e tagliando il silenzio in fischi sonori nei quali, lโ€™orecchio allenato, avrร  colto lo schiocco di un ramo spezzato che andava cadendo a rimbalzo sino al suolo. Il tuono echeggiava lontano. Ci va di striscio, disse, il fieno questa volta il buon Dio, lโ€™ha salvato. Della casa, dove il cane aveva giร  guadagnato il portico, la tenda verde antistante lโ€™ingresso sventolava a resa. Cavรฒ gli scarponi nellโ€™infilata del vento acre di afa e terra e acqua che prese a battere dal cielo annottante. Battรฉ le suole sagomate e con lโ€™unghia dellโ€™indice estrasse una punta di quarzo testimone di un mondo sovrumano. Sedette ad una comoda di giunco a guardare la pioggia cadere fitta e verticale e immensa. Il cane, accucciato ai suoi piedi, di tanto in tanto voltava il capo verso la porta della casa. Non cโ€™รจ piรน nessuno, disse lโ€™uomo. E non rimarrร  nessuno. Con un cricco lanciรฒ il quarzo splendente a incistarsi nel terreno del cortile. Lo seguรฌ nella parabola sotto lโ€™acqua finchรฉ cadde, e si perse. Anche a cercarlo non lโ€™avrebbe mai piรน trovato.

Emanuele Torreggiani

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