Quando muore un Re- di Alessio Benassi

Una riflessione sul rapporto tra Italia e Monarchia

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Sabato è giunta la notizia della scomparsa di Vittorio Emanuele di Savoia, figlio di Umberto II ultimo Re d’Italia. Non ho potuto fare a meno di notare come la scomparsa di questo Principe abbia percorso i telegiornali e i media. Vittorio Emanuele fu l’erede al trono, Principe di Napoli dal 1937, visse le vicende della seconda guerra mondiale, il dopoguerra, i fatti del referendum del 1946 e l’esilio. Da bambino dovette abbandonare la propria Patria, che non rivide fino al 2002. Le vicende personali hanno indubbiamente contraddistinto la sua vita, sono fatti noti. Oggi, con la sua scomparsa, si chiude un pezzo della storia sabauda e della storia italiana.

Sembra strano, ma anche in questa Italia repubblicana, la monarchia fa sempre notizia. Conserviamo la repubblica, ma guardiamo le monarchie degli altri. Le vicende inglesi, i “royal wedding” e ancora di recente la scomparsa della Regina Elisabetta II e la successione di Carlo III oppure il passaggio di testimone in Danimarca, dove la Regina Margherita ha abdicato in favore del figlio.

Già Julius Evola, nei suoi vari scritti, analizzava come la repubblica è fatta da parti e fazioni, partiti che si avvicendano. La monarchia è una stirpe ed un popolo, unioni antiche e ancestrali che nonostante il tempo, sanno reggere (undici monarchie regnano in Europa). La corona è veramente super partes, non è eletta, e rimane arbitro imparziale, custode della costituzione e garanre del parlamento. Non è facile la sopravvivenza di questo istituto, visti i tempi, il bardo William Shakespeare giustamente scrisse: “Giace inquieta la testa che indossa una corona”. Ma in Europa le monarchie resistono, sono un punto di stabilità davanti alle crisi di governo, alla tendenze secessioniste (vedere Belgio e Spagna in primis) e alle lotte di partito; non a caso Re Umberto II disse: “La repubblica si può reggere col cinquantun per cento; la monarchia no. […] La monarchia non è mai un partito. È un istituto mistico, irrazionale, capace di suscitare negli uomini, sudditi e principi, incredibili volontà di sacrificio… Non deve essere costretta a difendersi giorno per giorno dalle insidie e dalle accuse. Deve essere un simbolo caro o non è nulla”.

In Italia abbiamo dimenticato, ma fu la monarchia ad unire la Patria. Lo diceva Montanelli, fu il Regno di Sardegna, con il suo “piccolo ma serio esercito e la diplomazia di Cavour”, a compiere un’ impresa che nessun in milletrecento anni era mai riuscito a portare a termine. Un Re sognatore, quale Carlo Alberto, si lanciò in questa impresa. A lui dobbiamo la prima costituzione, e la nascita di un progetto, che fu infine compiuto da sua figlio Vittorio Emanuele II.

Il messaggio di cordoglio, più profondo e significativo, è arrivato dal Principe Aimone, Duca di Savoia. Sua Altezza, Capo della Real Casa dal 2021, ha detto: “La scomparsa di Zio Vittorio, il Principe Vittorio Emanuele di Savoia, mi addolora profondamente. Con Lui, a quasi tre anni dalla perdita di mio Padre, si chiude un capitolo di storia d’Italia e della nostra Casa”.

Il legame tra Casa Savoia e l’ Italia è un sodalizio antico, una nazione con duemila anni di civiltà e una dinastia millenaria erano e sono profondamente legate.

Queste nuove generazioni, con la figura del Principe Aimone, oggi hanno l’arduo compito di portare avanti un retaggio enorme e complesso. Una sfida che Sua Altezza sta affrontando egregiamente, rivalutare le vicende storiche della dinastia oggi è il compito più grande. Dopo decenni dove la regola era “dei Savoia non se ne parla o se ne deve parlare male”, oggi il compito è affrontare certe tematiche e vicende in modo oggettivo. Il motto, che Re Umberto II consegnò al Duca Amedeo (padre di Aimone) era “l’Italia innanzitutto”, essere al servizio della Patria a prescindere da ogni cosa. Un retaggio antico, che va sempre tenuto in considerazione, cito anche l’episodio del grande “Comandante diavolo” Amedeo Guillet, eroe della guerriglia italiana contro gli inglesi in Africa orientale, quando Guillet incontrò Re Vittorio Emanuele III negli eventi difficili del settembre 1943, il Re disse: “Si ricordi che noi passiamo, ma l’Italia rimane e bisogna servirla sempre e in ogni modo. Perché la cosa più grande, che possa avere un uomo, è la propria Patria”.

Ecco perché ho voluto scrivere questa breve mia lettera. Riscoprire il nostro passato, la nostra storia e identità, significa prendere coscienza del retaggio del nostro grande passato. Costruire una memoria comune, con la nostra storia nazionale che nasce dal Risorgimento, superando le divisioni, è oggi più che mai fondamentale. Questo sogno di riconciliazione, era il sogno del compianto Duca Amedeo (cugino di Vittorio Emanuele), che si adoperò sempre in questo senso. Proprio per questo, molti anni fa, il Duca fece approvare una targa al Borro in Toscana, targa che commemorava i caduti della seconda guerra mondiale, dell’ una e dell’ altra parte, soldati della repubblica sociale e combattenti delle altre formazioni. Il Duca disse: “Quei morti, di quegli anni a mio avviso avevano tutti pari dignità. Combattevano per un ideale”.

Ideale e dignità, che insieme alla parola “Patria”, oggi più che mai sono un fondamento necessario.

Nella foto sotto: Aimone di Savoia

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