Giù il cappello. Novak Djokovic chiude il cerchio: gli mancavano i giochi olimpici e a trentasette anni se li è presi, alla sua maniera. Non solo, ha fatto fesso uno che in questo momento gli sta davanti tennisticamente un chilometro ma che la sagacia del serbo (per ora) se la scorda. E in una giornata per lui tremebonda ha finito meritatamente per perdere, così è il tennis. Ma avrà il tempo per leccarsi le ferite e, si spera, di fare tesoro di una lezione di tattica davvero pesante. Perché Djokovic l’ha davvero incartato, al punto che Carlitos Alcaraz ha finito senza più nemmeno sapere a che sport stesse giocando.
Del resto, vale sempre l’adagio reso celebre da Emiliano Mondonico per il quale non è affatto detto che vinca il più forte ma quello che ne ha più voglia. E il desiderio feroce di Nole ha spostato gli equilibri tutti dalla sua parte, insieme ad una condotta delle operazioni infallibile come eterodiretta da un computer. Spot imperituro all’intelligenza tennistica e alla possibilità di soverchiare gerarchie concettualmente blindate. Forse l’età che ha giocato un brutto scherzo, forse una giornata storta, forse la tensione del momento. Morale, Alcaraz, le scelte che contano le ha sbagliate quasi tutte. Grave, quando non ha saputo apportare correttivi nei settori più deficitari del gioco e ha esibito un killer instinct all’acqua di rose mandando al macero una quantità industriale di occasioni per dare al match un indirizzo differente.
Due tie-break hanno fissato uno score, col senno del poi, rispettoso dei valori visti in azione e dato al serbo l’unico trofeo ancora mancante per il conseguimento del Golden Career Slam. Per dirla alla Paolino Canè, cronista di giornata per la tivù pubblica, adesso può anche ritirarsi in pace. Al di là di troppi tecnicismi da addetti ai lavori e dei gusti personali, Djokovic ribadisce che se davvero avesse un senso l’attribuzione del titolo di GOAT sarebbe delittuoso qualora finisse appannaggio di un altro. Se il metro di giudizio sono gli almanacchi e i loro elenchi, che hanno il pregio non trascurabile dell’obiettività, nessuno è stato dominante e longevo quanto lui, un gigante.
Non stupisce la sua consueta capacità di rigettare l’idea di sconfitta che anche ieri lo ha puntellato nei momenti più delicati del match quando il fiato cominciava ad appesantirsi. La fame di uno che ha iniziato a giocare a tennis schivando le democratiche bombe occidentali non è pareggiabile e colma gap apparentemente impossibili. Lo ha fatto in mille occasioni con Federer, lo ha rifatto con Alcaraz. Sicuramente lo farà ancora. Insomma, Nole non sarà ricordato come il più talentuoso o il più simpatico. Ma al diretto interessato tutto ciò giustamente non importa. Lui voleva essere ricordato come il più vincente di ogni epoca e tanto è diventato. C’è davvero poco altro da dire. A parte un sentito grazie, per aver dato spessore al nostro sport preferito.