Mentre aspetti che ti venga voglia- Torna, su Ticino Notizie, Camilla Garavaglia

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La mia scusa più bella è “non ho niente da dire”.

Segue “non sono ispirata”, o anche “beh ma tanto chi la legge” o la mia preferita “quando mi succederà qualcosa di interessante mi metterò seduta e la scriverò”.

Di cose ne sono successe, in questo mese, eppure non mi sono mai seduta a scrivere la newsletter di giugno (sì, oggi è il 14 luglio. Sì, mi sono legata al tavolo solo ora, spinta dalla vergogna delle promesse disattese).

Mentre aspetto che mi venga voglia di scrivere, dietro alle scuse nascondo una scomoda domanda: ha senso realmente scrivere sta cosa ogni mese anche quando ogni goccia di creatività è stata assorbita da settanta lavori noiosi – non sai davvero cos’è la noia finché non scrivi un articolo sulla produzione di valvole* – per poi comunque iniziare con la solita geremiade sull’essere costantemente in ritardo?

La risposta sarebbe no, però poi mi lego alla sedia e rispondo sì, e scrivo perché altrimenti tutto qui dentro la testa si ferma, ingranaggio dopo ingranaggio. Praticamente questa newsletter è il monologo di un pazzo in centro paese, in un caldissimo giorno di luglio.

Incrociate le braccia dietro alla schiena e guardate insieme a me questo cantiere formarsi pezzo a pezzo, sperando che ci siano sampietrini a sufficienza.

*Mai scritti articoli sulla produzione di valvole, ma non posso rischiare che qualcuno dei miei clienti si indigni perché definisco noiosa la sua azienda quindi oggi per me pecunia batte onestà intellettuale cinque a zero.

La Settimana Enigmistica vera regina dell’estate
Un argomento scomodo che farei meglio a ignorare
Se non avete sentito parlare del MeToo delle agenzie di comunicazione i casi sono due: o vivete in una iurta nella steppa kazaka o non lavorate nel campo della comunicazione. In entrambi i casi, conducete una vita felice: beati voi, perché vostro è il regno dei cieli.

Iniziamo subito col dire che la faccenda del MeToo è grave ma non è seria: è grave perché c’è un grosso giro di soldi dietro (quanti contratti ha perso o rischia di perdere We are social? Quanti ne perderanno le agenzie che verranno trascinate nel gorgo nei prossimi mesi? Quanto ne uscirà danneggiato l’intero settore?) ma non è seria perché, come accade sempre in questi casi, nell’ansia di discostarsi dal fenomeno e di non finire nella lista nera dei cattivi si finisce per diventare ridicoli e perdere di vista il vero punto della questione.

La chat dei colleghi maschi che commentano il culo delle colleghe femmine e che fanno la gara a chi scrive la frasetta più arguta e provocatoria è la versione digitale ed evoluta delle strategie di intimidazione sessuale nelle comunità dei babbuini, con l’unica e sostanziale differenza che il babbuino non ti chiederà mai una call in Zoom per smarcare la task asap.

Una chat così dice pochissimo di me, vittima degli sguardi se il culo è ok e degli strali se il culo è troppo grosso o troppo piatto per gli standard babbuini, ma dice moltissimo sui babbuini stessi: eccoli qui, a fare pallette con le feci per tirarle e a guadagnare più di me per scrivere in chat cosa farebbero alla stagista se solo capitasse loro a tiro (spoiler: niente. L’ardore sulla tastiera è inversamente proporzionale alla capacità di copula).

Ecco perché, se siete d’accordo – lo so che non lo siete, è un modo di dire – io la chat degli ottanta l’archivierei come una dimostrazione di cazzodurismo di quattro capetti e quattro sottoposti un po’ sfigati, dimostrazione che purtroppo ha coinvolto decine di poveri cristi costretti a restare nel flusso di messaggi solo per motivi di organigramma. Penso a loro e mi dispiaccio, archivio la questione e decido di non collocarla nel ramo “molestie”.

Altra cosa, appunto, sono le molestie. Pare che la chat degli ottanta abbia scatenato un mare di denunce (cosa buona, eh) e pare che ci siamo tutti svegliati sudati nello scoprire che le agenzie di comunicazione possono essere ambienti viscidi, maschili, soffocanti e pure oppressivi. Con l’aggravante settoriale, cioè della comunicazione: passi essere maschilista e molesto, ma se poi mi esci con la campagna del secolo contro la violenza sulle donne sei ipocrita e inaffidabile.

Sulla questione ho davvero ancora pochissimo da dire.

Primo: esistono settori del mercato tradizionalmente più maschilisti di altri. Non so se la comunicazione sia uno di questi – sospetto che il settore della produzione di valvole lo sia di più, ma come già detto sono ignorante sul tema – ma so di certo che nel corso della mia carriera ho lavorato con persone genuinamente maschiliste, che mai avrebbero accettato di prendere ordini da una donna, ma anche con tanti uomini che hanno scelto di affidare i ruoli di potere alle ragazze. In modo naturale e non forzato, che è la cosa più bella. Aprire il dibattito sarà utile forse perché i primi vengano isolati e i secondi valorizzati, ma temo che la strada in questo senso sia ancora lunga. Il mio timore invece è che (vedi punto successivo)

Secondo: la caccia al maschilista molesto rischia di diventare la caccia all’agenzia di merda, quella con cui nessuno vuole più avere a che fare. I dipendenti – tutti colpevoli, secondo il tribunale popolare, senza distinzioni – vengono isolati e le multinazionali stracciano i contratti a favore di Tweet o di post su LinkedIn, trasecolando. “Non lavoreremo mai più con questa agenzia di maschilisti” scrivono aziende che poi sottopagano i propri dipendenti o fanno la faccia scura se la segretaria rimane incinta e usufruisce della maternità. Con un effetto casa degli specchi: le accuse rimbalzano, ma figurati se qualcuno si ferma un secondo a guardare la propria immagine.

Terzo: se il mio capo ti chiede tutte le volte di preparare il caffè e non lo chiede mai ai tuoi colleghi maschi, conviene vagliare in maniera obiettiva ciascuna delle seguenti possibilità : A- è maschilista B- sa molto bene che i maschi probabilmente non sanno nemmeno accendere la macchina del caffè C- ha una mamma che lo ha abituato così e da allora proietta su di te la figura materna con tutto il suo carico di aspettative (auguri) D- dai oggettivamente un’immagine migliore del collega maschio davanti ai clienti in sala riunioni E- il caffè è la cosa che sai fare meglio in ufficio: in questo caso, valuta altre prospettive di carriera.

La villa che avrei se avessi 1euro per ogni volta che ho sentito la frase “Bella idea, la presenterà al cliente XXX” (nome di collega maschio a caso)
Le magnifiche sorti e progressive

Due settimane fa ho preso il Telepass.

Lo so, la scatoletta grigia (che io però ho preso color fucsia) è stata inventata nel 1989 e io sono arrivata in ritardo di 34 anni sulla normale tabella di marcia.

Per inaugurarlo, sono andata dall’amica V in autostrada e ho goduto dei tre minuti che ho risparmiato evitando il teatrino: abbassa il finestrino, prendi il biglietto, alza il finestrino, abbassa il finestrino, inserisci il biglietto, estrai il bancomat, fai cadere il bancomat sotto il sedile, bestemmia, recupera il bancomat, paga, alza il finestrino, eccetera.

La tecnologia scorreva potente in me. Vuoi vedere che ho fatto bene a prendere il Telepass, le magnifiche sorti e progressive, Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli! e così via.

Poi durante la serata sono arrivate delle belle notizie, e un po’ in tutto questo strano inizio mese di luglio (l’avevo detto che facevo bene ad aspettare) soffiano venti dolci dal passato, che fanno sbattere le persiane che danno sul giardino dove si prova a seminare qualche fiore spontaneo, qualche cosmea colorata per il futuro. E insomma che tornando in autostrada, con mille pensieri in testa, il gesto di aprire il finestrino e di ritirare il biglietto, insieme a una boccata d’aria, mi è mancato.

Va bene, forse l’argomento Telepass (senza peraltro sponsorizzazioni in corso) forse è un po’ debole per la newsletter e – davvero – non tutto deve necessariamente diventare occasione di riflessione, ma che ci posso fare?

Questo accrocchio mi costerà due euro al mese in cambio del fatto che non dovrò più tirare fuori il braccio dal finestrino: lasciate almeno che ne faccia materiale da scrittura perché se no guardate che tutta questa conversione dalla produzione al settore terziario ci renderà ancora più aridi di quanto già siamo.

Come mi vedevo alla guida prima di farmi arrivare la scatoletta del Telepass

Le letture del mese
Ma è mezzanotte, che dovrete mai leggere. Andate a dormire.

Domani però prendete questo, fidatevi: più che un libro, è un quadro di Hockney tradotto in parole.

Un quadro senza chiaroscuro, su cui sembra sempre riflettere la luce vibrante dell’acqua di una piscina: è la giovinezza, leggera e pesante allo stesso tempo, dei protagonisti, un gruppo di inglesi in vacanza in Italia all’inizio degli anni Settanta.

Non saprei dire molto di più. Ma è una perla.

Tutto ciò che segue è reale. L’Italia è reale. Il castello è reale. Le ragazze sono tutte reali, e i ragazzi pure (Rita è reale, Adriano, incredibilmente è reale). Nemmeno i nomi sono stati cambiati. Perché preoccuparsi? Per proteggere gli innocenti? Non c’erano innocenti. Oppure lo erano tutti – ma non possono essere protetti.

Raro esempio di libro abbinato al contesto

Il vino del mese
Ne ho bevuti tanti, ma questo vince per tanti motivi (non ultimo il fatto che l’ho bevuto due ore fa e ho ancora addosso la bella sensazione).

L’azienda Nervi è la più antica di Gattinara: uno dei suoi vigneti, il Valferana, era già citato dal 1242 negli atti municipali del Comune.

Vigna Molsino è un’espressione particolarmente felice del Nebbiolo: nel calice è pulito, balsamico, profuma di radici terrose appena smosse, in un giorno d’autunno.

Per me, che odio l’estate, è più che perfetto.

Le etichette piemontesi più belle sono quelle che sanno di vecchio

Non rileggo, scusate i refusi!

Buonanotte :-*

Ecco il link per ricevere gli scritti di Camilla e la sua (non) newsletter:

https://camillagaravaglia.substack.com/p/mentre-aspetti-che-ti-venga-voglia?utm_source=substack&utm_medium=email

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