A quest’artista dal temperamento impetuoso e di difficile catalogazione per l’eclettismo delle sue tele e per l’indipendenza dalle più importanti correnti artistiche del Novecento, Milano sta dedicando una mostra a Palazzo Reale che durerà sino al 22 giugno 2025.
Ci sono andata spinta dalla curiosità verso una pittrice che non conoscevo e sono rimasta incantata dalle sue opere e dal suo modo di essere donna. Nata a Buenos Aires da un padre italo argentino e da una triestina di origine tedesca, nel 1909, all’età di due anni la piccola Leonor arrivò a Trieste coi genitori, perché la madre voleva far conoscere la nipotina ai nonni materni, e nella città ancora asburgica ci resterà con la mamma che, stanca del marito, lo aveva ingannato convincendolo a ripartire per riprendere i suoi affari in Argentina, tanto lei e la piccola lo avrebbero raggiunto di lì a poco; cosa che però non fece mai, tanto che lui, compresa la situazione, invierà a Trieste degli scagnozzi per rapire la bambina. Il terrore che ciò potesse accadere nuovamente fece decidere alla signora Fini di rifugiarsi a Pola e di camuffare la bambina da maschietto, cosa che lascerà a Leonor, il gusto del mascherarsi.
Cresciuta in una famiglia praticamente matriarcale, dove gli uomini parevano un contorno, si divertì a leggere tutto quello che trovava nella biblioteca dello zio materno e di sua madre e ciò le fece acquisire un’ampia cultura letteraria ed artistica che le diede una formazione mentale aperta e che, una volta adulta, la trasformò in una donna dalle idee modernissime, soprattutto sul modo di intendere il maschile e il femminile, e talmente fuori dagli schemi morali dell’epoca, che persino i surrealisti che conobbe poi a Parigi nel 1931 e che la lusingarono per il suo talento, rimasero a dir poco turbati.
Pur non essendo omosessuale, tollerò quel modo di essere e amò uomini eleganti, delicati e dalla sessualità indefinita, sorta di androgini che ritrasse più volte come giovani dormienti osservati e protetti da una donna o da un ibrido come la sfinge, figura ancestrale che esercita tutti quei poteri che la donna contemporanea aveva perduto, capovolgendo in tal modo lo schema mentale che vedeva gli artisti ritrarre donne nude sdraiate a rappresentazione del desiderio maschile, che invece Leonor non rese più oggetti, bensì soggetti desideranti il maschio, ma un maschio non impegnato a mostrare
il suo machismo.
Durante la Seconda Guerra Mondiale e poco dopo, le sue opere tesero al macabro e a scenari apocalittici, come nel dipinto Il confine del mondo, dove una bella giovane dalla capigliatura cinerea e leonina emerge dall’acqua scura ove galleggiano teschi di animali dagli occhi vivi e foglie secche accartocciate, su uno sfondo dalle tinte infernali.
Magnifiche le sue nature morte fatte da legni contorti, anch’essi talvolta cogli occhi, da brandelli di cortecce che paiono ricci di violini, da rampicanti, da gusci d’uova, simbolo di rinascita, e qui presumo di speranza di ritorno alla normalità nel dopoguerra.
La pittrice, alla ricerca di un proprio ruolo in un mondo dominato dagli uomini, predilesse temi in cui la donna era vista come un’amazzone, una dea, una maga, una fata, una sirena, una strega, a suggerire che un tempo, nel mondo matriarcale, le donne erano libere di esprimere i loro poteri, di controllare la natura ed anche la vita e la morte.
Tramite le sue figure femminili con l’armatura affermava poi che la donna può essere artefice del proprio destino. Nella sua lunga e straordinaria vita, si spense a quasi novant’anni, frequentò moltissimi intellettuali e artisti, tra i quali: Achille Funi, Max Ernst, Dalì, Anna Magnani, Elsa Morante, Mario Praz, Alberto Savinio, Strehler… si occupò di scenografie, disegnò costumi teatrali, mobili, ornamenti; insomma, tanto di cappello alla sua poliedricità artistica.
A cura di Luciana Benotto