Le dame del castello di Masnago

A cura di Luciana Benotto

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Su un’altura della città di Varese e circondato da un bel parco all’inglese, si trova il castello di Masnago che, nel XV secolo, subì un ampliamento da parte della famiglia Castiglioni che lo aveva acquistato dai Marliani; il risultato fu una costruzione singolare costituita da una fortificazione medioevale che, abbinata ad un nuovo edificio, diede vita a una dimora signorile. I discendenti dei nuovi proprietari la tennero per secoli, sino a quando, nel 1934 decisero di venderla ad Angelo Mantegazza, il quale, durante alcuni lavori di ristrutturazione scoprì un meraviglioso ciclo di affreschi tardo gotici.

Il castello, divenuto poi di proprietà comunale, ospita oggi il Museo Civico d’Arte Moderna e Contemporanea che comprende opere di pittura, grafica e scultura dal ‘500 al ‘900 con autori del calibro di Tranquillo Cremona, Hayez, Morazzone, Nuvolone, Romanino, Procaccini, Pellizza da Volpedo, Vela, Balla, Guttuso… ma per chi ama il medioevo le due sale affrescate alla metà del Quattrocento per desiderio di Maria Lampugnani, vedova di Giovanni Castiglioni, sono una vera e propria delizia con le sue scene di vita cortese.

Al piano terra si trova la Sala degli Svaghi le cui pareti ci trasportano nel meraviglioso mondo del gotico internazionale, un genere pittorico che, come nella poesia cortese, esalta il mondo femminile; infatti nelle scene qui raffigurate le dame spiccano per la loro grazia e distinzione in un mondo fiabesco dove tutto è gioia e divertimento. Le vediamo alle prese coi loro passatempi: per esempio, tre se ne vanno in barca mentre due di loro si scambiano una rosa, e la scelta di questo fiore mi ha fatto pensare al Roman de la rose, un poema allegorico in gran voga in quegli anni, e amato dalle signore per la sua solleticante trama erotico-amorosa; un’altra dama, sempre elegantissima, parte col suo cavaliere per la caccia al falcone che è posato sulla sua guantata mano destra; sempre su di una barca ecco che le vediamo giocare una partita coi tarocchi; bellissima è poi la signora seduta sotto una tenda riccamente ornata intenta a suonare l’organo portativo, avvolta nella sua ampia veste, il cui volto pare sia proprio quello della committente: madonna Maria Lampugnani.
Al piano superiore sta invece la Sala dei Vizi e delle Virtù dove, dentro una serie di riquadri architettonici separati da pilastrini, appaiono delle scene nelle quali stanno tre figure allegoriche femminili in piedi su di un prato fiorito a contrasto col rosso del fondale: nel mezzo una Virtù incoronata e ai suoi lati i Vizi.

Si tratta di un apparato iconografico di ispirazione filosofica e morale in cui la moderazione dev’essere d’esempio, in quanto la saggezza non contempla gli eccessi, e per questo motivo i critici pensano che ad ispirare questo ciclo possa essere stato L’acerba, un poema di Cecco D’Ascoli, poeta, medico e filosofo che sosteneva la concezione aristotelica della medietas, per appunto quella che “la virtù sta nel mezzo” e nel mezzo lo è anche in questi dipinti.

Ma diamo loro una scorsa. Troviamo l’Umiltà insieme all’Arroganza e alla Superbia con in mano uno scettro; la Liberalità tra l’Avarizia e la Prodigalità che sperpera i denari; la Castità tra la Lussuria e la Vanità che si guarda allo specchio; la Pazienza tra la Disperazione e l’Ira con un bastone; la Carità tra l’Ingratitudine e l’Invidia; la Temperanza tra l’Ubriachezza con due fiasche e la Gola; la Sollecitudine tra l’Accidia e la Pigrizia; alcune figure sono invece singole, come la Giustizia e la Speranza che tiene una corda cui è legata un’ancora. È quindi piuttosto piacevole, quasi una sorta di gioco, osservare gli oggetti simbolici che rappresentano queste figure.

Ma la zona medievale riserva altre sorprese: la Sala della Crocifissione decorata con motivi geometrici, quella delle Colonne e quella della Musica.

E per chi avesse voglia di bere o mangiare qualcosa nel prato ai piedi del parco, si trova un chiosco bar. I dolcetti sono ottimi.

Luciana Benotto

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