Annunciato con l’enfasi che si deve ad un avvenimento eccezionale, consentita la doppia zeta a rimarco, l’elicottero dello sceicco discenderà da un cielo turchino. E il velivolo, laminato in foglia d’oro, risplenderà delle luci di mille cieli e del nostro. Il cielo sopra Magenta. Mille e uno. Ha promesso, dicono, che distribuirà ad ognuno presente caccole d’oro. Ne ha una scorta infinita, è uno sceicco d’altronde. Le tiene conficcate nelle nari, in quel gran rostro di naso a becco di corvo. Le estrae una ad una, con l’unghia acuminata dell’indice sinistro. E, si dice, ne ha per tutti. Per tutti i vivi, per tutti i morti, per tutti quelli in nascita e che nasceranno di qui a mille e un anno.
Ovviamente lo sceicco è anziano, intende il mondo. E conosce l’oro tamquam Vespasiano. Si legge, così i magniloquenti comunicati, che lo sceicco abbia deciso di posarsi sul sacro, semel in anno, suolo risorgimentale, giuntegli l’eco roboante di una rivolta imminente cittadina per la festa del sacrificio. Dai palazzi governativi si ventilava lo sciopero collettivo del caffè. Lo sceicco, è uno sceicco. Si occupa di affari nel vasto mondo. Possiede quote dei grandi torrefatori. Un granello tolto alla montagna smuove una frana. Una crociata contro il caffè che sboccia dalla città pantone, al limite potrebbe. Ad ogni buon conto lo sceicco ha acquistato una dote di quote di radice di scorzonera, edule di per sé ed adiuvante il buon cagare. Gli hanno scritto, i maestri del gusto, laureati a Yale e quotati all’11 di Wall Street, che la radice, macerata in tisana alle feci di periferia mature di carboidrati in residuo, poi corretta con aspartame, essiccata, polverizzata e incapsulata in guscio di erba medica, sarebbe, servita calda, più che ottima. Inoltre, così a margine per la politica comunicativa, la miscela sarebbe un esempio concreto di economia circolare, democratica e sostenibile. “Spumabiorossomagenta, la pausa del cristiano”. Eh, lo sceicco con le sue caccole d’oro sarebbe la soluzione. Verrà? Ma verrà? No. Non verrà. È già giunto. Sono quelli lì, con le facce cartonate a terra di siena. Venuti giù dal Pakistan, con la valigia legata a corda. O su dall’Egitto. Ammesso vi sia un su e un giù per le latitudini. La terra, si sa, è piatta. Circondata di gelo invisibile. Comunque, disfatti gli stracci si sono dati all’occupazione criminale: l’operaio. Dominio e Forma. Il Soggetto spirituale. Limando le magre paghe hanno accumulato il danaro sufficiente, l’oro, per acquisire sgangherati loculi di decrepiti cortili e riattarli, uno in aiuto all’altro, ad un abitare che, ancorché povero non risulta miserabile. E mantenendo del soggetto lo spirito, essi lo nutrono con la preghiera. Lo spirito si nutre tal quale il corpo. Sono venuti qui, nella terra del tramonto dove i neonati son più vecchi dei nonni, per lavorare. Gli sono state vendute le case dei bisnonni, trappole con ancora scaracchi risorgimentali. Pecunia non olet, Vespasiano, e non gli è stato chiesto in compravendita chi sia il loro dio. L’oro è oro. Già di per sé dio. Sì. Poi chiavano, fanno figli. Non li assassinano in ventre. Non ancora. È un crimine essere poveri in una landa di portatori sani di luivittuone da mercato, di maniaci fotografi del desco che in breve si farà merda. È un crimine essere poveri. Diventate ricchi. Portate qui uno sceicco. Si spalancheranno tutte le porte. Anche gli ani.
Emanuele Torreggiani