Italrugby, mesto ritorno dalla terra di Albione

Netta affermazione degli inglesi sugli azzurri di Quesada

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Dopo quaranta minuti di partita pari e patta è evidente fosse lecito aspettarsi qualcosa di più dello scempio che, invece, abbiamo prodotto nei primi dieci minuti della ripresa che, di fatto, hanno scritto la parola fine ad un match paradossalmente alla nostra portata. Con gli inglesi che cercano di imitare i francesi, ma DuPont non ce l’hanno e la birra non è lo champagne, quindi con gli Azzurri che ribattono colpo su colpo e vanno a segno con due marcature bellissime. Il solito Capuozzo che raccoglie un calcio meraviglioso di Ioane e sfreccia in meta alla sua maniera e, poi, Vintcent che spacca la difesa inglese e schiaccia in meta in volo plastico. E se Garbisi, oggi molto male, non avesse sprecato cinque punti al piede, l’Italia avrebbe chiuso il primo tempo davanti e pure con merito.

L’inizio, però, come spesso ci accade è tragico. Due minuti di gioco, difesa molle sulle gambe, placcaggi mancati, meta inglese. Testa ancora negli spogliatoi, un classico. Italia che regala all’avversario la possibilità di far da subito partita di testa. Meno classico, ma molto esaltante almeno finché è durato, è constatare come l’Italia abbia i connotati per rientrare immediatamente in corsa, ed il risultato è, come detto, un primo tempo che, seppur infarcito di errori inammissibili a questi livelli che ci costano tre mete, ci vede spalla a spalla con i maestri inglesi. A casa loro. Il tempo di un tè caldo e, in un copione già visto troppe volte, l’Italia fa la frittata. Prima butta alle ortiche una meta praticamente fatta e poi, in una manciata di minuti orripilanti, ne regala ben due senza combattere. Pertanto, dal possibile sorpasso, con la possibilità concreta di instillare dubbi enormi nella mente degli avversari, al suicidio collettivo che scrive i titoli di coda, tutto in un amen. Minuto cinquantacinque: partita finita con quasi mezz’ora di anticipo.

Che ci sia un problema di approccio è chiaro più del sole. Ieri, però, più che altre volte, perché il blackout ha riguardato democraticamente entrambi i tempi. E se nel primo si è reagito con ferocia rimettendo il match in carreggiata, nel secondo la barca ha fatto più acqua del Titanic e lo score ha assunto dimensioni umilianti per noi. La testa, il novantanove per cento del motivo per cui nello sport si vinca o si perda. Non c’è altra spiegazione per cedimenti strutturali così repentini, l’incapacità di restare nel match per ottanta minuti senza che la curva di rendimento sia sinusoidale, un po’ su e un po’ giù. Qualcosa di assai complesso da allenare, più di una touche o di una mischia. La forza mentale non si compra, spesso o c’è o non c’è. Brutta gatta da pelare per Quesada, sul cui operato avremo comunque modo di tornare.

Dopo quattro dei cinque turni del torneo, il bilancio azzurro è senza dubbio al di sotto delle aspettative. La risicata vittoria contro il peggior Galles di sempre non può essere sufficiente a salvare la stagione, perché il resto ha significato scoppole troppo severe. Galles, tra l’altro, cresciuto moltissimo e che dopo le ultime incoraggianti prove rischia seriamente di chiudere davanti agli Azzurri nella classifica finale. Sarebbe una disdetta, psicologica e pure economica. Qualora si giocasse domani, i dragoni questa volta ci farebbero secchi. Invece, ci toccherà ospitare l’Irlanda, incazzata all’inverosimile per aver perso partita e torneo contro la Francia. Insomma, tra sette giorni, salvo miracoli, si andrà a chiudere un Sei Nazioni diametralmente opposto a quello scorso, quello della riscossa azzurra e, francamente, ci saremmo attesi un epilogo diverso.

Tornando al match, qualche indicazione utile per il futuro la si è comunque vista. Capuozzo estremo è la soluzione che più lo valorizza ma, al contempo, rinunciare ad Allan rischia di essere una scelta troppo penalizzante. Al punto che lo si potrebbe riproporre all’apertura. Mediana che, con Varney-Garbisi, si è dimostrata inconsistente. Detto della giornata no di Paolino – duole dirlo, si potrebbe anche pensare per lui ad un turno di riposo – è auspicabile il ritorno di Page-Relo da titolare. E, magari, di dare una volta nella vita la possibilità a Zuliani, il rubapalloni per eccellenza, di essere protagonista dall’inizio. Manco a dirlo, ottimo anche oggi il suo impatto quando, purtroppo, la vacca era già scappata nelle verze. Touche quest’oggi da rivedere, con un paio di occasioni importanti gettate malamente alle ortiche, ma abbiamo avuto anni peggiori e, quindi, non è lecito rammaricarsi più di tanto. Mischia, infine, sufficiente. Qui, sì, abbiamo avuto trascorsi dominanti che sarebbe un sogno ritrovare.

A valle di tutto ciò, tra gli aficionados comincia a serpeggiare un sospetto sinistro. Quesada, coach che ha ereditato da Crowley una rosa azzurra completa con il miglior gioco probabilmente di sempre, ad oggi pare non aver saputo proseguire l’evidente percorso di crescita intrapreso sotto la guida del suo predecessore. Per molti, addirittura, trattasi di un’evidente involuzione. Sebbene sia ancora presto per un bilancio definitivo in tal senso, ciò che è oggettivo è che le cascate di punti rimediate di continuo cominciano ad essere qualcosa di simile ad un indizio. Ovviamente, si spera di sbagliare. Il roster c’è, abbiamo il dovere di farlo rendere al meglio delle nostre innegabili possibilità, mettendo per sempre la parola fine alla stagione del vorrei ma non posso. Testa permettendo.

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