Italrugby, a Nizza appuntamento con l’Uruguay.. e la storia

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A Nizza, nel tardo pomeriggio, è prevista acqua dal cielo e non è quella che si dice una buona notizia. Perché, nel rugby, quando il rettangolo di gioco è ridotto a pantano con la palla scivolosa come una saponetta, il beneficio concesso da Giove Pluvio, che si chiama livellamento dei valori in campo, è ovviamente tutto dalla parte di chi è meno attrezzato per vincere e, per una volta, lo saranno i nostri avversari. Si fanno chiamare Teros, sono gli uruguagi del rugby e oggi contendono all’Italia un traguardo di capitale importanza, il diritto a prendere parte alla prossima edizione dei mondiali. Un meccanismo bizzarro che fa sì che un incontro del girone del mondiale in corso di svolgimento abbia intrinseca una doppia valenza, nell’immediato e a lungo temine: fare strada in questa competizione gettando le basi per quella che si disputerà tra quattro anni.

Inserita in un girone terribile e stimolate insieme, dove oltre all’Uruguay e alla già battuta Namibia ci sono i padroni di casa della Francia e gli All Blacks neozelandesi – compagini di un altro pianeta con in mano, salvo cataclismi, la prenotazione per i primi due posti che garantiscono l’accesso ai quarti di finale – l’Italia, proprio contro i Teros, mette in palio quel terzo posto che vuole dire, appunto, qualificazione per Australia 2027. Oltre alla conferma di uno status prezioso e niente affatto scontato, quello di squadra di riferimento nella fascia immediatamente a ridosso del gotha della disciplina.

In soldoni, ci aspetta la classica partita appiccicosa nella quale si ha tutto da perdere, con l’avversario che, al contrario, può affrontare la medesima sfida con la serenità di chi, male che vada, il suo dovere l’avrà fatto comunque. Quella che, se si parlasse di tennis, Rino Tommasi chiamerebbe prova del nove, l’esame di maturità, la necessità inderogabile di saper vincere le partite da vincere. Psicologicamente, il peggio che ci si possa trovare a dover gestire. Ma ci tocca farlo, è un privilegio e, per quanto di buono fatto vedere negli ultimi mesi, un appuntamento da prendere per le corna con tutta l’umiltà del caso perché nel rugby nessuno è mai disposto a regalare niente. Figuriamoci gli eredi dei Tupamaros, gente fatta di muscoli e garra charrua che sprizza da tutti i pori.
Per l’occasione, Kieran Crowley, allenatore azzurro dalle chiare origini neozelandesi, si affida al meglio che il nostro movimento è in grado di assicurare oggi, apportando qualche significativa correzione al quindici che ha travolto la Namibia all’esordio. Ange Capuozzo, scheggia impazzita e instancabile manifestazione di fantasia che viaggia alla velocità del suono, lascia l’ala e torna all’estremo, la sua comfort zone, ruolo che gli assicura più coinvolgimento palla in mano e, quindi, una maggiore possibilità di spaccare in due le partite. Ange è un fenomeno, genialità purissima, quello che nel soccer sarebbe stato uno come Savicevic se avesse avuto anche il piglio del centometrista. Tommaso Allan, deputato a lasciare il posto al largo proprio al napoletano di Francia, migra all’apertura che, anche per lui, significa una collocazione più confortevole, in un ruolo tutto fosforo e lucidità che a definire chiave di sbaglia per difetto.

L’esordio mondiale di Pani all’ala, con Ioane confermatissimo dal lato opposto, è la vera scommessa di Crowley che ci sentiamo di appoggiare senza riserve stante la qualità del ragazzo delle Zebre. Fischetti, Nicotera e Riccioni compongono la consueta prima linea che avrà il compito di tenere a bada quella uruguaiana, ostinata e abrasiva, in un confronto di spinte a baricentro basso che dirà molto delle sorti della partita. La curiosità forse più intrigante, però, è la presenza in campo già dall’inizio di due coppie di fratelli: Lorenzo e Niccolò Cannone, rispettivamente terza e seconda linea; Alessandro e Paolo Garbisi, rispettivamente mediano di mischia e tre quarti centro. Affiatamento cromosomico, DNA comune nel nostro doppio affare di famiglia. A chiudere la formazione titolare, infine, sono Ruzza in seconda linea, Negri e capitan Lamaro in terza e Brex tre quarti centro. Zero esperimenti, si bada al sodo, vincere è l’unica cosa che conta.

Tra Italia e Uruguay sono quattro i precedenti, tutti appannaggio degli azzurri ma non sempre ciò ha significato vita facile. Come l’ultima volta, quando ai Teros è mancato davvero un pelo per inchiodarci ad un pareggio che, peraltro, avrebbero meritato di portarsi a casa. Il risultato striminzito di 17 a 10, quindi sotto il fatidico break di distanza, certificò la sofferenza quale costante di tutti gli ottanta minuti nei quali furono solo due le mete messe a referto a testimonianza delle difficoltà offensive incontrate dagli azzurri. Anche il match d’esordio in questo mondiale, disputato dai latinoamericani al cospetto della Francia, deve essere considerato un motivo di grande attenzione. Perché, se è vero che i transalpini hanno rinunciato a gran parte delle loro prime scelte, l’Uruguay si è comunque reso protagonista di una partita eccellente, impedendo agli avversari di siglare le quattro mete che per regolamento significano punto di bonus. Una sconfitta più che onorevole costata alla Francia una bordata di fischi dagli spalti e il fuoco incrociato della critica.

Di cosa sono capace i Teros è dunque cosa nota, sta all’Italia, che ne ha ovviamente tutte le possibilità, adottare le opportune contromisure per certificare sul campo una superiorità tecnico-tattica che non deve restare solo sulla carta. Anche sotto il probabile diluvio battente fatto apposta per acuire ancora di più la battaglia casa per casa che esalta le qualità dei nostri rivali. Tre sono i requisiti che non devono mai latitare nel corso del match, anche per i più bravi: umiltà, concentrazione, intensità. Quando questi fattori vengono garantiti, difficilmente il rugby – sport crudo semmai ce ne fosse uno e nel quale è impossibile inventarsi alcunché – regala sorprese. In altri termini, scientificamente vince il più forte. Oggi, non possiamo certo nasconderci, qualunque risultato finale che non corrisponda ad una convincente vittoria sarebbe, sportivamente parlando, tragico.
Forza ragazzi, c’è una pagina di storia rugbistica da scrivere. Facciamolo in stampatello, con un inchiostro indelebile. Senza paura.

di Teo Parini

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