Il disastro aereo di Olgiate Olona e Malpensa: 26 giugno 1959

Ricorre domani il 66° anniversario

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Ricorre domani il 45° anniversario della peggiore strage capitata nei cieli di Malpensa. Nel pomeriggio del 26 giugno 1959, il volo TWA n. 891, proveniente da Atene e diretto a Parigi-Orly e Chicago, decollò alle 17:28 dall’aeroporto di Milano-Malpensa sotto un violento nubifragio. Soltanto cinque minuti più tardi, alle 17:33, l’aereo scomparve dai radar dopo aver comunicato la propria posizione al radiofaro di Saronno. Si era disintegrato in volo, precipitando in località Cascina Agnese, nel territorio di Olgiate Olona (VA).

Pochi istanti dopo il decollo, un fulmine colpì l’aeromobile, innescando l’esplosione dei vapori di carburante fuoriusciti dalle condotte di sfiato dell’ala destra. L’esplosione provocò il cedimento strutturale del velivolo – un Lockheed Super Constellation – causandone il tragico schianto. Si trattò del più grave incidente aereo accaduto in Italia fino ad allora.

I resti dell’aereo vennero rinvenuti in un ampio raggio: i timoni finirono contro il muro di uno stabilimento tessile, i quattro motori tra Marnate e Castellanza, mentre la fusoliera e il carrello si schiantarono nella zona boschiva di via per Marnate. La semiala destra fu ritrovata oltre 500 metri più in là, in un campo di granoturco.

I soccorsi furono immediati, ma le fiamme vennero domate solo intorno alle 21. Alle 20, sotto la pioggia battente, giunse sul luogo del disastro l’arcivescovo di Milano, il cardinale Giovanni Battista Montini (futuro papa Paolo VI), accompagnato dal parroco di Olgiate, don Aldo Zecchin. Il cardinale impartì la benedizione alle vittime, i cui corpi giacevano tra le lamiere contorte.

La notizia fece rapidamente il giro del mondo. Tra le settanta vittime si contavano cittadini di diverse nazionalità: 16 italiani (tra cui Maria Fermi, sorella del fisico Enrico Fermi), 37 statunitensi (molti dei quali di origine italiana), 7 francesi, 4 britannici, 3 cileni, una tedesca, un’israeliana, un’egiziana.

Il recupero dei corpi, molti dei quali gravemente mutilati e carbonizzati, iniziò all’alba del giorno successivo. Don Zecchin fu presente durante ogni fase di questo doloroso compito. A emergere con maggiore nitidezza, alle prime luci del giorno, fu lo scenario terribile: un bosco trasformato in un inferno di rottami e vite spezzate. I passeggeri, ancora legati ai loro sedili, morirono in volo. In un caso, il corpo di una bambina fu ritrovato stretto nell’abbraccio di una delle hostess.

Tra i resti venne rinvenuto anche un piccolo corpo mai identificato: un bambino di circa due anni non presente nelle liste passeggeri. Sulla lapide commemorativa si fa riferimento a “settanta vite umane”, comprendendo anche il feto trovato accanto alla salma di una donna incinta.

Sessantanove bare vennero numerate e disposte accanto al luogo dello schianto. Una di esse, la n. 67, conteneva resti non riconducibili a nessuna delle vittime. Il funerale solenne si tenne a Olgiate Olona, alla presenza di centinaia di persone, tra familiari, autorità e cittadini comuni. Molte salme vennero poi trasferite nei Paesi d’origine, mentre al cimitero di Busto Arsizio restarono le due vittime statunitensi e la bara con resti non identificati, inclusi quelli delle due vittime britanniche.

Il 29 giugno, nel cimitero di Olgiate Olona, fu sepolta Maria Fermi Sacchetti, secondo il suo desiderio di riposare dove la vita le era stata tragicamente strappata.

In assenza di una scatola nera, l’inchiesta si affidò alle analisi dei maggiori esperti dell’aviazione civile e militare. La causa fu attribuita a una tragica fatalità: il fulmine che colpì i vapori di carburante, evento raro ma non impossibile. Nessuna responsabilità venne attribuita né all’equipaggio – esperto e qualificato – né agli operatori di terra.

La tragedia di Olgiate Olona resta ancora oggi una delle pagine più drammatiche nella storia dell’aviazione italiana.

Foto tratta da www.olgiateolona26giugno1959.org

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