Tommy è arrivato in Italia da piccolo dalla Nigeria.Di una simpatia ed umorismo travolgenti, si integra presto e scopre la sua passione per l’afrobeats, che suona con un orgoglio in più: porta lo stesso cognome di uno dei più celebri e storici autori di questo genere musicale.
Tommy ha però una personalità a 3 dimensioni e con lui si parla scorrevolmente anche di argomenti profondi: filosofici, li chiama lui… Perché il successo qualcosa te la ruba sempre, e guardandosi indietro sa di essere un po’ più solo (come ne “La solitudine dei numeri primi”), ma molto più maturo rispetto agli inizi.
E’ riuscito a realizzare un sogno ambito da molti, oltre ad essere ormai molto conosciuto sul territorio e soprattutto a Milano, ed è apparso in un film che recentemente abbiamo visto al cinema.
Lascio la parola a lui.
Partiamo dal fatto che tu ti sei laureato in Gran Bretagna. Ha ancora rilevanza nella tua vita?
Si ho fatto una laurea triennale che è andata molto bene, anche più del liceo.
Mescolare cultura africana e italiana, cosa ti permette di fare a livello musicale? Tra l’altro tu fai afro-beats e sei stato uno dei primi che l’ha fatto in italiano.
Secondo me mi permette di creare un suono che non è mai stato realizzato. Poi assolutamente sono stato uno dei primi e per me è un onore anche per via del cognome che porto, dato che la persona che ha inventato l’afro-beats nel mondo e che è molto famosa, si chiama Kuti come me.
Il tuo nuovo brano è “Piazza Napoli”. Nel testo tu ti riferisci anche ad amici persi in città. Milano ti ha rubato qualcosa?
Milano mi ha rubato un sacco di cose. Mi ha rubato un po’ l’innocenza. Lo dico perché prima ero veramente un ragazzo di provincia, e lo dico come quando sei lì e non sei abituato a vedere il marcio nella gente. Chiaramente da quando sto a Milano sto molto più all’occhio e attento a certe cose che prima non avevo. E ho anche imparato a diffidare dell’entusiasmo delle persone. Vivendo a Milano mi sono abituato al fatto che la gente mi conosce per quello che faccio e non per quello che sono. Prima di Milano la mia vita era costellata di persone che mi conoscevano molto bene perché eravamo andati a scuola insieme. Ci beccavamo al bar perché gli piacevano le mie idee per esempio. E a Milano è stato tutto un altro paio di maniche.
C’è qualcosa che non riesci a perdonarti o possiamo considerare questo brano come un messaggio subliminale per qualcuno?
Ad un certo punto nel mio brano dico che se potessi tornare indietro forse sarei meno egoista. Ma alla fine ho realizzato che si tratta come di una storia cliché di tutti i gruppi, che ad un certo punto, prima stanno insieme poi si sciolgono a volte pet questioni di ego, perché magari uno ha una opportunità e un altro una gelosia. È chiaro che spesso e volentieri noi artisti siamo anche un po’ egocentrici e pieni di noi stessi. Anche io ho un po’ sofferto di questa cosa, lo ammetto, guardandomi indietro. C’è stato un moneto in cui io vivevo a Brescia e avevo una crew con la quale suonavo, poi io ho avuto l’opportunità di firmare con Universal, e magari guardando indietro forse avrei potuto provare ad essere più disponibile con gli altri.
Puoi immaginare: realizzi il tuo sogno e tutti gli occhi sono puntati su di te…
Immagino che sia difficile se una persona è concentrata sul proprio avvenire, è difficile dire se ci sia una colpa…
Infatti è una situazione delicata. Io penso sia difficile prendere delle decisioni che non lascino nessuno triste ed insoddisfatto. A volte scegliere per te significa non scegliere gli altri. Non so se tornando indietro davvero farei diversamente ma chiaramente sono diventato subito il cattivo della situazione. La solitudine andando avanti nella vita a volte è inevitabile. Un po’ come la solitudine dei numeri primi ed un po’ ho capito che anche a voler fare le cose con gli amici di prima, non tutti si muovono alla stessa velocità, con lo stesso desiderio e con la stessa voglia di fare. E non tutti hanno la stessa fame e motivazione.
In questo momento ti senti arrivato?
Posso dire che mi sento davvero soddisfatto, perché ogni giorno della mia vita ho la possibilità di fare cose creative. Cose che mi soddisfano. Non mi sembra mai di lavorare. È come se avessi vinto l’Enalotto della vita, perché come si dice “fai quello che ami e non lavorerai un giorno”.
Hai recentemente avuto la tua prima esperienza al cinema. “Ricomincio da taaac”. E si svolge proprio in una Milano sconvolta da cambiamenti epocali che parlano anche di inclusione e sostenibilità. Quale è stato il tuo ruolo e come ti sei trovato?
Il mio ruolo era di questo ingegnere, che però vive in una cascina ed incontrava personaggi variopinti. Mi è piaciuto perché anche se ad un certo punto il mio personaggio svolge lavori manuali, son contento di aver dato il mio contributo, rendendo la storia più appetibile e realistica. Soprattutto perché quasi sempre in questi film le persone di colore hanno dei ruoli scioccantemente di cliché. Poi ho potuto personalizzare il mio personaggio e cambiare delle battute.
Proprio in riferimento a questi cliché, volevo farti una domanda in base sia alla mia esperienza umana che alla tua. Io ho avuto per molti anni un amico che veniva dal Kenya. A me piaceva molto co il suo carattere ed il suo stile originale che ad un certo punto, lui ha stravolto e cambiato completamente, dicendo che questo lo faceva sentire più integrabile. Tu hai mai avuto il pensiero di cambiare una qualsiasi cosa in te stesso, per sentirti più italiano, soprattutto appena arrivato?
Io non credo che ci siano cose che ho sentito il bisogno di cambiare. Però posso dire che Milano mi ha cambiato molto, anche nell’aspetto esteriore ed estetico. Ripenso ai miei esordi nel 2015-2016, una mia amica mi disse solo osservandomi con il mio modo di vestire, al quale non davo peso (ride), che le “cose sarebbero cambiate, vedrai…”. E aveva ragione! E penserai diecimila volte al giorno a come uscire di casa. Ed io non potevo credere che avrei potuto voler diventare più sofisticato.
La tua serata di afrobeats che terrai a Milano il 24 novembre… Perché non bisognerebbe mancare?
Allora prima di tutto si potranno provare dei piatti africani preparati da uno chef famoso che li preparerà da gran gourmet. Quindi tra musica e e cibo sarà una esperienza bellissima sia per chi è africano che per chi non lo è. Dopo il live di afrobeats, ci sarà un dj set e si potrà ballare.
Se c’è un motivo che riassuma è che sarà un momento bello e positivo.
Ultima domanda: cosa pensi dei tuoi colleghi di profilo internazionale sia a livello musicale che per le storie di cronaca che a volte saltano fuori? Secondo te qualcuno manda un messaggio sbagliato?
Ultimamente non ascolto più così tanto il rap italiano. A livello internazionale però sono contento del successo che sta avendo l’afrobeats, perché fa bene al mondo, e si tratta di un’onda musicale che trasmette davvero vibrazioni positive, e messaggi d’amore, anche se a livello amaricano c’è molta più musica negativa, a volte tristi.
Monica Mazzei
Freelance culturale
TicinoNotizie.it