Frassati e Acutis, i giovani della strada nel quotidiano. Di Domenico Bonvegna

"La vera ricchezza della Chiesa sono i santi di tutte le età e di tutte le categorie sociali".

Quando i ‘Sinistri’ danno lezioni di democrazia agli altri

In questi giorni due episodi che hanno coinvolto politici di sinistra hanno suscitato una mia reazione polemica. Il primo quello di Walter Veltroni che...

+ Segui Ticino Notizie

Ricevi le notizie prima di tutti e rimani aggiornato su quello che offre il territorio in cui vivi.

La canonizzazione di Carlo Acutis e Piergiorgio, la prima di Papa Prevost, Leone XIV, che riceve il testimone da Papa Francesco. Come in una staffetta i Papi si passano il testimone anche nelle canonizzazioni. La vera ricchezza della Chiesa sono i santi di tutte le età e di tutte le categorie sociali.

Carlo Acutis, il primo santo millennial.
Carlo è stato un giovane come tanti altri, amò l’Eucaristia, visse la sua fede con gioia e ci ricorda che la santità non è un sogno lontano, ma una meta possibile per tutti. La semplice vita di Carlo mostra che per prendere sul serio la fede non è necessario avere 80 anni. Godersi i 15 anni e cercare di farlo davanti a Dio è possibile, e lui lo ha dimostrato. Carlo non voleva semplicemente “credere in Dio”: voleva essere connesso a Lui come chi respira è connesso con l’aria. Sempre. Senza pausa. Come il battito del cuore.

In un’epoca in cui comandano i filtri, in cui l’autostima si misura con le visualizzazioni e l’amore sembra avere una data di scadenza, Carlo ci lancia questa frase come una bomba di verità. Senza giri di parole: «Ciò che veramente ci renderà belli agli occhi di Dio sarà solo il modo in cui lo abbiamo amato e come abbiamo amato i nostri fratelli». L’Eucaristia non era un piano extra per Carlo, era il suo motore. Quell’appuntamento quotidiano con Gesù era la sua bussola sicura, l’unica rotta che non sbaglia. Carlo vedeva la recita del Santo Rosario come un incontro. Ogni Ave Maria era una rosa viva offerta a Maria, sua confidente e guida.

Pier Giorgio Frassati: il santo delle otto beatitudini
Questo ingegnere italiano ha dimostrato che si può essere giovani, autentici e profondamente felici quando si vive per gli altri. A 24 anni ha lasciato un’impronta indelebile in coloro che lo hanno conosciuto, specialmente nei più bisognosi.

La gioia di Pier Giorgio Frassati non era superficiale, ma frutto di una fede profonda e della sua relazione viva con Gesù. Quella luce interiore lo sosteneva nelle difficoltà e lo rendeva capace di trasmettere speranza a chi gli stava accanto. Il suo segreto: vivere con gratitudine, servire con amore e lasciare che Cristo riempisse il suo cuore Nonostante la sua vita agiata, Pier Giorgio Frassati scelse di donarsi ai poveri con tempo, amicizia e presenza reale. La sua carità non era dare ciò che avanzava, ma amare fino a star male, come chiedeva Madre Teresa di Calcutta. Il suo funerale, gremito dei più umili, fu testimonianza di una vita spesa nella generosità autentica.

Verso l’alto con Pier: “Vivere senza fede non è vivere, ma semplicemente esistere” Pier Giorgio viveva la fede come un faro in mezzo alla vita universitaria, capace di donare speranza e coraggio anche nella solitudine. La sua fede non lo allontanava dalla realtà, ma la impregnava di senso in ogni gesto, amicizia e sacrificio. Più che regole, era uno sguardo profondo che trasformava l’ordinario in straordinario. Per Pier Giorgio Frassati Gesù non era un ricordo del passato, ma un amico vivo e vicino che dava senso a ogni decisione. La vocazione non è un peso né una rinuncia, ma camminare ogni giorno con Lui, lasciando che la sua presenza trasformi le piccole cose.

“La nostra vera patria è il cielo” Per Pier Giorgio Frassati la montagna era un richiamo al fatto che la vita non si limita a ciò che è materiale, ma tende al cielo. Il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi, raccontando la santità giovane di Pier Giorgio e di Carlo, li ha definiti giovani santi della strada, giovani comuni che hanno fatto della sequela del Vangelo la loro ragione di vita. (Benedetta Capelli, Semeraro: Frassati e Acutis, giovani santi della strada, 4.9.25, vaticannews.va/it)

Due santi pieni di vitalità con il cuore infiammato dall’amore per Cristo, vissuti nel mondo ma non del mondo. “C’è sempre qualcosa di sorprendente nei santi — afferma il porporato —, molti di loro si assomigliano e d’altra parte l’esercizio delle virtù cristiane non è mai un esercizio isolato, è sempre accompagnato dall’esercizio di molte altre virtù”. Il cardinale Semeraro fa riferimento a Papa Francesco nell’esortazione apostolica post-sinodale Christus vivit quando disegnava la Chiesa. “Essa — scriveva Papa Bergoglio — può attrarre i giovani proprio perché non è un’unità monolitica, ma una rete di svariati doni che lo Spirito riversa incessantemente in essa, rendendola sempre nuova nonostante le sue miserie”.

Il cardinale Semeraro è autore del libro “Pier Giorgio Frassati, Alpinista dello spirito (Edizioni Messaggero Padova 2025, pp. 184, euro 18), pertanto conosce bene il santo torinese.

“Pier Giorgio Frassati — afferma Semeraro — incarna il modello del fedele laico offerto dal Concilio Vaticano II. È colui che, impegnato nella vita, ha una particolare esperienza in diverse realtà del mondo, è quella che il Concilio chiama l’indole secolare del fedele laico che ha vissuto in piena consonanza con il Vangelo, incarnandolo in ogni aspetto”.

L’agire di Pier Giorgio è quello che troviamo nella Lettera agli Efesini di sant’Ignazio di Antiochia: “meglio essere cristiani in silenzio che chiacchierare, dirlo e non esserlo”. Anche al funerale di Carlo Acutis parteciparono tanti poveri e anche la sua famiglia non sapeva. “Acutis è stato una scoperta anche per i suoi genitori, ha fatto quello che ha fatto con le sue possibilità di adolescente, con le sue possibilità di giovane”. Carlo è espressione della “santità di un ragazzo, pronto ad aprirsi alla vita avendo come punto di riferimento l’Eucaristia, la sua autostrada per il cielo”.

Frassati e Acutis, giovani comuni che profumano di una santità «da porta accanto», come amava ripetere Papa Francesco. Due figure che lo stesso Leone XIV ha proposto come modello per le nuove generazioni durante il recente Giubileo dei Giovani. Concludo segnalando la puntuale e significativa riflessione dell’amico Daniele Fazio sulla canonizzazione dei due giovani. (La santità nella ricchezza, 6.9.25, alleanzacattolica.org) Fazio ci tiene a precisare che la santità chiama anche due giovani “benestanti” e indica la loro lezione.

“Pur vivendo in due momenti storici diversi e pur essendo entrambi giovanissimi, hanno preso sul serio la sequela di Gesù Cristo, vivendo eroicamente le virtù cristiane”. Tra i tanti aspetti che si possono ricordare, “uno emerge in qualche modo in maniera provocatoria, rispetto a certi clichè da “cattolicesimo annacquato”: entrambi provengono da famiglie benestanti”. Non è una novità che la santità cresca anche nella ricchezza economica l’ho constatato in tante figure di nobili e quindi benestanti che ho incontrato nelle mie ricerche bibliografiche, faccio solo qualche nome, i coniugi Giulia e Tancredi di Barolo e poi tante regine e re e nobili che hanno vissuto il Vangelo anche nelle loro agiatezze. Pier Giorgio e Carlo, entrambi nati in famiglie ricche e borghesi e abbastanza indifferenti alla vita religiosa. “L’agiatezza economica non è stata per entrambi motivo di ostacolo per il loro cammino cristiano perché, se è difficile che il ricco passi per la cruna dell’ago evangelica (Mt 19,24), il miracolo non è impossibile”, entrambi i giovani vivevano distaccati dalle sicurezze materiali, ma hanno saputo utilizzarle per la ricerca del Regno di Dio aiutando il prossimo.

Fazio ricorda che “Il cristianesimo non può essere ridotto a pauperismo, men che meno a dialettica tra classi sociali. Vi sono benestanti che non hanno legato il loro cuore alle ricchezze materiali, ma ne hanno usato secondo giustizia e carità. Del resto, la condizione di indigenza da sola non è sufficiente per vivere in coerenza il cristianesimo. Gesù proclama beati i poveri in spirito e Lui stesso aveva tra i suoi più cari amici Lazzaro, Maria e Marta: una famiglia agiata del tempo, che assieme ad altre persone sosteneva economicamente la sua missione e la comunità apostolica”.

La lezione che, ancora, giunge da questi aspetti esemplari dei due giovani santi è perfettamente in linea con quanto insegnato dalla morale sociale cattolica. La proprietà non è un furto – come vagheggiato da Pierre Joseph Proudhon (1809-1865) e dall’ideologia socialcomunista –, non va altresì idolatrata, ma concepita come un diritto relazionato alla destinazione universale dei beni. Essa, inoltre, garantisce la libertà concreta dei singoli. La presenza dei poveri sarà costante nella storia e per tale ragione il diritto alla proprietà riveste anche una responsabilità sociale di solidarietà.
L’intervento si conclude con un riferimento significativo al Compendio della Dottrina sociale della Chiesa che afferma: «Il realismo cristiano, mentre da una parte apprezza i lodevoli sforzi che si fanno per sconfiggere la povertà, dall’altra mette in guardia da posizioni ideologiche e da messianismi che alimentano l’illusione che si possa sopprimere da questo mondo in maniera totale il problema della povertà. Ciò avverrà soltanto al Suo [di Cristo] ritorno, quando Lui sarà di nuovo con noi per sempre. Nel frattempo, i poveri restano a noi affidati e su questa responsabilità saremo giudicati alla fine (cfr. Mt 25,31-46)» (n.183).

Pertanto, la proprietà privata non va dunque idolatrata né abolita: il vantaggio personale o familiare degli averi è anch’esso funzionale al bene comune e deve essere strutturato in tale ottica.

DOMENICO BONVEGNA

■ Prima Pagina

Ultim'ora

Altre Storie

Pubblicità

Ultim'ora nazionali

Altre Storie

Pubblicità

contenuti dei partner