Siamo in un mondo interconnesso in maniera totale e, a volte, asfissiante. Però spesso queste connessioni mi fanno scoprire note, poesie e voci che mi sarebbe stato impossibile trovare senza un aiuto “esterno”. Chi mi segue lo sa: tutti, o quasi, gli artisti che vi faccio conoscere, li ho scoperti in questo modo.
Amici americani o gruppi di fans che segnalano nuovi musicisti, nuove uscite e nuove canzoni.
Ascolto, ormai, pochissima musica “mainstream” e solo di artisti che amo da sempre: Lynyrd Skynyrd, Led Zeppelin, Rory Gallagher, Jimi Hendrix, Allman Brothers Band, ecc… Solo per citare i più influenti nel mio modo di intendere la musica.
Nel nostro paese, invece, questo sottobosco di musica indipendente che cerca disperatamente di fare emergere la sua voce ha molta più difficoltà ad emergere. Sopratutto se l’artista ama sonorità prettamente americane e, Dio non voglia, decida di cantare le sue poesie in inglese.
Scopro talmente tanti artisti negli Stati Uniti, che spesso non ho materialmente il tempo di avventurarmi in ricerche che meriterebbero sicuramente maggiore approfondimento.
Laggiù la speranza e anche la possibilità di farcela è più a portata di mano. Non solo Nashville, che comunque resta il centro dei sogni musicali del 90% dei musicisti, ma ormai i locali che sono dei riferimenti nel circuito indipendente sono veramente tantissimi e distribuiti in tutti gli Stati.
Inoltre ci sono numerosissimi festival stupendi che sono delle vere e proprie vetrine per talenti locali.
Non dico che farcela sia facile o che scatenare un passaparola a valanga sia come dirlo, ma di certo si hanno maggiori chance di provare a farlo con successo.
Nel mio profilo Instagram sfrutto queste connessioni per alcune collaborazioni che mi permettono di far girare i miei articoli e, anche in quel modo, sfrutto lo spazio per portare alla conoscenza di orecchie italiane i miei artisti preferiti.
Proprio in questo modo, grazie alla collaborazione con la pagina chiamata “Book ’N Roll Club” (https://www.instagram.com/booknroll_club/), una volta al mese circa faccio un post “vetrina” per un artista che penso meriti di essere scoperto.
E’ stato proprio rispondendo ad uno dei miei post, che questa artista è arrivata alla mia conoscenza.
Ero stupito che un’italiana conoscesse una delle mie canzoni preferite del grande Ray Wylie Hubbard e in più, scartabellando nella sua pagina, ho scoperto che era una musicista: dovevo saperne di più.
Eccomi qui a parlarvi di una ragazza emiliana dal nome artistico molto blues e che con la sua meravigliosa voce mi ha fatto viaggiare nella terra dei miei sogni musicali.
Ellen River è stata una di quelle scoperte che mi rimarranno negli speaker per molto tempo, non uno di quegli ascolti di passaggio che non ti lasciano nulla.
Come le ho detto dopo il primo ascolto, ho avuto questa sensazione: la sua voce è una cura per le anime, proprio come quella delle artiste americane che adoro e di cui vi ho parlato nei miei articoli (Jade Marie Patek, Morgan Wade, Kayla Jane o Nikki Lane, per citarne alcune).
Ellen è al suo secondo disco solista (a dire il vero esiste anche un primo album del 2014, “Otis”, ma non lo troverete nei servizi streaming) e dopo l’ottimo Lost Souls del 2018, raggiunge la maturità artistica, nonostante sia giovanissima, con un’opera che oserei dire monumentale: questo Life.
Monumentale perchè un disco doppio, lungo, 27 canzoni per quasi 1 ora e mezza di fantastica musica americana.
Non spaventatevi, il disco scorre via come una corsa sulla Route 66 con il sole in faccia e il vento che vi accarezza.
Un viaggio musicale che parte dalle paludi della Louisiana e arriva alla polvere e al deserto del Texas, senza dimenticare di sostare fra i monti del Kentucky e il rumore della città di Chicago.
La musica di Ellen è davvero una sorta di tour operator dell’America che abbiamo imparato ad amare e ad apprezzare.
Ellen River appartiene a quel mondo e le auguro, un giorno, di poterlo dimostrare anche dall’altra parte dell’Oceano: sono certo una voce come la sua, accompagnata dalle sue liriche non banali e fortemente legata alla vita vera, di amore, sofferenza e rinascita, sarebbe perfetta per un bel concerto alla Gruene Hall di New Braunfels in Texas. Luogo dove si sono esibiti tutti i più grandi cantautori americani.
La voce di Ellen River, sin dalla prima canzone Blues For G, mi ha molto ricordato il timbro delle grandi cantanti soul passate da Muscle Shoals, ma con la freschezza di una giovane Alanis Morrissette. Un connubio che la rende personale, ispirazioni sì, ma con un carattere forte e mai banale. Questo pezzo è paludoso, trascinato, blues dall’anima appiccicosa. Che inizio!
Menzione d’onore per le chitarre suonate da Boris Casadei e dal sound perfetto con la regia di Gianluca Morelli dello studio Decklab di Rimini, co-produttore dell’album assieme alla River.
Non da meno sono gli altri strumentisti: Rodolfo Valdifiori al basso, Diego Sapignoli alla batteria, Stefano Zambardino al piano e fisarmonica, Marco Maccari il fantastico banjo, Enrico Giannini con la sua hammond, Alex Valle con l’americanissima pedal-steel, Enrico Guerzoni al violoncello e Luca Falasca con il suo violino.
Non vi ho parlato delle canzoni non perchè non ne valesse la pena, ma perchè davvero in questo viaggio tutte valgono la pena di essere assaporate.
Basta guardare la copertina del disco dove il sorriso solare di questa ragazza trasmette ottimismo: ecco, il suo disco e le sue poesie sono così. Ottimismo nonostante la vita a volte ti riservi brutture e difficoltà che sembrano insormontabili. Canzoni per i sognatori ad occhi aperti e io sono uno di loro.
Il singolo e title-track è questo: solare, trascinante e dannatamente bello. La voce potente e intensa di Ellen River fa il resto in un pezzo dall’andamento oscillante fra il folk e il rock.
Se dovessi inquadrare il sound sarebbe un’interpretazione personale della musica di Morgan Wade, una delle artiste indipendenti migliori degli ultimi anni.
Ritmo serrato e atmosfere bluegrass sono quelle toccate in Make It Right, dove prendono la scena le sonorità del banjo e della fisarmonica.
C’è ovviamente spazio anche per le atmosfere western e nella strumentale Resonance c’è un personale e originale tributo al grande Ennio Morricone. Originale perchè l’artista inserisce come tappeto in lontananza il rumore che esce appunto dalle “risonanze magnetiche” e si immagina il duello fra la macchina che rappresenta il dolore e la sofferenza e la musica e la melodia che cercano di farsi largo, di farsi ascoltare, di vivere.
Non ho parlato di tutte le canzoni, ma penso che mi basterebbe questa per trovare un motivo per ascoltare i 27 pezzi di questo bellissimo disco. Si tratta di talento e genialità, non è comune.
Un bellissimo viaggio lungo e arricchente, un viaggio che Ellen River fa attraverso le sue esperienze, ma che potrebbe benissimo essere autobiografico per tutti coloro che ascolteranno. Questo è il segreto della musica indipendente che amo e che questa artista ha dentro la sua anima: parlare alla gente comune di storie di vita vera in cui riconoscersi e con le quali fare la propria personale catarsi.
Una voce che non dimenticherete facilmente e che, se amate le grandi voci americane e inglesi, non potrete non mettere nella vostre playlist.
L’ho detto e lo ripeto: la voce di questa ragazza emiliana è una medicina per l’anima e spero, un giorno, di assistere ad un suo concerto, visto che non solo è bravissima, ma è anche alla maniera americana super attiva con i suoi live in giro per la sua regione e non solo.
E un giorno, chissà, visto che sono un sognatore ad occhi aperti la immagino all’Exit In di Nashville
far sognare anche la terra a cui appartiene la sua musica.
Buon ascolto,
Claudio Trezzani by Trex Roads
Nel mio blog troverete la versione inglese di questo articolo.
www.trexroads.altervista.org