“C’è chi ha definito la diffusione del crack, in alcune parti del Paese, come una sorta di tsunami. Fumandone i vapori provoca ‘alti’ potenti, più violenti di quelli della cocaina da cui deriva, ‘bassi’ altrettanto rapidi, nel giro di minuti, e una veloce dipendenza che spinge di continuo al consumo. Sotto l’effetto di crack, anche uno sguardo o una parola possono essere letti come una minaccia e provocare una reazione di attacco o di fuga oppure azioni insensate e pericolose.
Quando l’effetto finisce c’è solo depressione e ricerca della sostanza. Diventa in breve la principale, se non l’unica ragione di vita”. I cittadini delle aree in cui si diffonde “vedono situazioni che li disturbano e a volte li rendono insicuri, mentre le strade passano sempre più sotto il controllo degli spacciatori. Un effetto dirompente. Ma com’è accaduto che, quasi all’improvviso, ci siamo accorti di un problema che nemmeno più possiamo definire emergente?
Ancora un’ondata e, laddove si diffonde, potrebbe saturare la capacità di risposta dei Servizi che si occupano di salute mentale e dipendenze”. E’ l’analisi di Riccardo Gatti, medico specialista in psichiatria e psicoterapeuta, da anni al lavoro sul tema delle sostanze psicoattive, delle dipendenze e delle dinamiche che portano al consumo. Il crack “non è una nuova droga – spiega all’Adnkronos Salute l’esperto che attualmente coordina il tavolo tecnico sulle dipendenze della Regione Lombardia – Alla fine degli anni ’80 il suo consumo si diffuse negli Usa. Dopo una certa ora anche frequentare la Quinta strada, la via dei negozi di lusso di New York, diventava pericoloso.
Poi improvvisamente l’epidemia Usa finì così come era iniziata, e ne arrivarono altre, non solo da sostanze illecite ma anche da farmaci oppioidi. Il tempo passa, le esperienze si dimenticano e la società contemporanea ha nuove caratteristiche che la rendono più veloce, instabile e con poca memoria. Ecco perché del crack ce ne siamo accorti quasi all’improvviso”.