Mentre mi appresto a realizzare l’intervento sulla politica disastrosa di Allende che ha portato alla dittatura di Pinochet, proprio dal Cile, arrivano ottime notizie: Josè Antonio Kast, leader del Partito Repubblicano è il nuovo presidente del Paese andino. Padre di nove figli è un bel vedere nella foto di gruppo che circola sulla rete. Avremo modo in futuro di scrivere sulla sua politica. Intanto la stampa mainstream ha iniziato a infangarlo, proprio accostandolo al famigerato generale Augusto Pinochet. Allora torniamo ad analizzare quegli anni ’70.
Il Golpe militare che pose fine alla “via cilena al socialismo” di Salvador Allende. Anche in questo intervento parto da un libro, uno dei pochi, pubblicato ormai due decenni fa, scritto da Mario Spataro, “Pinochet. Le scomode verità”, edizioni Settimo Sigillo (2003) Spataro prima di occuparsi della dittatura di Augusto Ugarte Pinochet, che ricordo, era un oscuro generale, racconta i tre anni intensi di politica sovietizzata di Salvador Allende, a partire dal 1970, quando è diventato presidente del Cile grazie all’aiuto della Democrazia Cristiana.
Il cardinal Raul Silva Henriquez, arcivescovo di Santiago, celebrò un solenne Te Deum di ringraziamento per la sua vittoria. Purtroppo anche molti uomini di Chiesa cileni (tra cui spicca l’Arcivescovo di Santiago del Cile, cardinal Raul Silva Henriquez) caddero nella trappola della mano tesa ai cristiani ingenui dal neo-marxismo gramsciano o “comunismo dal volto umano” ed accettarono di camminare assieme ai progressisti e ai marxisti, schierandosi aprioristicamente contro Pinochet e facendo così il gioco del comunismo internazionale, che a quei tempi era ancora guidato da Mosca e che si ammantava della nuova dicitura di “Euro-comunismo”, escogitato da Enrico Berlinguer proprio in occasione del golpe cileno del 1973, rifacendosi alla dottrina gramsciana.
“Cominciò così la più grande campagna di disinformazione che il Novecento abbia mai conosciuto. Posto sugli altari quand’era ancora in vita, il presidente cileno venne trasformato, dopo la sua tragica morte, in icona della libertà, della giustizia e dell’eguaglianza”. Simmetricamente, il generale Augusto Pinochet che con un colpo di stato pose fine al suo fallimentare tentativo di instaurare il socialismo, è additato quale simbolo d’infamia. Tuttavia, per comprendere il Golpe occorre analizzare la politica di Allende che ha avuto un solo intento quello di fare la rivoluzione con la sua Unidad Popular, la coalizione che lo aveva sostenuto e che annoverava, accanto ai partiti di ispirazione marxista, i cattolici di sinistra. Il testo di Spataro è stato letto e presentato sul quotidiano Libero da Renato Bersana, (Il mito di Salvador Allende, 3.8.2003, libero) Per prima cosa rivolse le sue attenzioni alla stampa: “Dovere supremo di un giornalista – disse – è servire non la verità ma la rivoluzione”.
Cercò quindi di espropriare El Mercurio, il principale quotidiano del Paese. Nel 1972 furono introdotte norme che vietavano la diffusione di notizie che non fossero state approvate dalla Officina de Radiodiffusioni de la Presidencia de la Repubblica, cioè dalla censura. All’indomani della sua elezione una folla di piccoli risparmiatori terrorizzati corse in banca per ritirare i propri risparmi. Aveva presagito quel che sarebbe accaduto, se le premesse della campagna elettorale fossero state mantenute. Lo furono. Con il voto favorevole dei democristiani, Allende fece approvare una modifica costituzionale che facilitava le nazionalizzazioni forzate, anche per “eccessivi profitti”. Meno di un anno più tardi, lo Stato controllava il 90% delle miniere, l’85% delle banche, l’84% delle imprese edili, l’80% delle grandi industrie, il 75% delle aziende agricole ed il 52% delle imprese medio-piccole.
La produzione crollò, l’inflazione raggiunse il 400% medio, con punte del 700%. Cominciarono a scarseggiare, insieme ai beni di consumo, anche quelli di prima necessità, che vennero razionati. Il “movimento liberatore di enormi proporzioni che ha portato alla presidenza del Cile un uomo chiamato a realizzare improrogabili atti di giustizia”, come scrisse il premio Nobel Pablo Neruda, cominciò a praticare espropriazioni illegali, tollerate, se non incoraggiate, dal governo. Il Movimento de Izquierda Revolucionaria (MIR), qualcosa di simile alle nostre BR, s’impadronì con la violenza di case e negozi, oltre che di circa 2.000 aziende agricole. La commissione parlamentare incaricata di far luce sul fenomeno venne sciolta d’autorità. In poco più di un anno l’intero paese, esclusa ovviamente la nomenclatura del regime, fu alla miseria e alla fame, in preda alle continue violenze delle formazioni paramilitari. Allende ricevette il premio Lenin per la pace. Aveva dimostrato di aver appreso a puntino la lezione, come ci racconta Spataro con dovizia di documenti.
Per reprimere lo scontento, aveva sull’esempio cubano istituito i Jap, le Juntas de abastecimento popular, comitati locali che avevano lo scopo di “segnalare il rispetto dei prezzi controllati”, ovvero una rete di commissari politici, circa 15.000, che tutto potevano controllare, oltre, naturalmente, a denunciare i comportamenti controrivoluzionari. Nonostante la repressione durissima, esercitata soprattutto dalle squadracce del Mir, il popolo, quello vero, riuscì a far sentire la propria voce: la marcia delle casalinghe e lo sciopero degli autotrasportatori lasciarono chiaramente intendere che la collettivizzazione avrebbe incontrato più difficoltà del previsto.
Allende cercò allora l’appoggio dell’esercito, facendo entrare nel governo tre ministri militari. Il tentativo si concluse dopo cinque mesi con le loro dimissioni. Era il marzo 1973. “Quando capimmo che l’opposizione conservatrice ci avrebbe impedito di impadronirci dello Stato” – dichiarò il leader comunista Luis Corvalan – “intensificammo i nostri preparativi per la lotta armata”. Allende si trovò nella condizione di scegliere se subire o guidare una rivoluzione più radicale di quella che egli aveva tentato. O la dittatura militare o la dittatura del proletariato: altre vie non erano rimaste. In parlamento aveva già perso la maggioranza, l’esercito non faceva mistero dei propri malumori, i cileni erano allo stremo. Nel mese di luglio, la Democrazia Cristiana offrì al presidente il proprio appoggio, a patto che venissero sciolti i gruppi paramilitari della sinistra.
La proposta venne respinta. L’11 settembre i carri armati del generale Pinochet, comandante in capo delle forze armate, portarono l’attacco ai centri del potere. Allende, asserragliato con i suoi nel palazzo della Moneda, resistette, rifiutando la via dell’esilio. Quando vide che tutto era perduto, diresse verso di se la mitraglietta con la quale avrebbe dovuto difendersi. Appena la notizia si diffuse, alle finestre delle case apparvero bandiere esposte in segno di gioia.
Il governo Pinochet dovette, soprattutto nei primi anni, disarmare il terrorismo di sinistra. Fu una guerra civile durissima e le guerre civili, come ammonisce il presidente Mao, non sono pranzi di gala. Completata la transizione alla democrazia, il generale lasciò il potere, costume insolito tra i dittatori. Ma l’odio dell’Europa nei suoi confronti non è mai scemato, fino ad arrivare al parossismo del giudice Garzon, che cercò d’arrestarlo con l’accordo dell’Inghilterra socialdemocratica. Neppure il ben più sanguinario Pol Pot ha mai avuto una così cattiva stampa, né da destra né da sinistra. Per anni, abbiamo assistito alle lagne degli Inti Illimani hanno risuonato da ogni palco, fino a stendere dalla noia perfino i compagni più fedeli alla causa. El Pueblo unido jamàs serà vencido.
Allende rappresentò il Sessantotto realizzato. Quello che per i cileni fu un incubo, da noi rappresentò il sogno per il quale i salotti democratici hanno continuato a trasalire di sdegno e di speranza. Pinochet, per salvare il suo paese, non usò certo i guanti bianchi. Tranquilli: l’avrebbero criminalizzato lo stesso, anche se fosse stato più mite di La Pira. In uno interessante studio di Marco Respinti su Il Domenicale (“Lui è peggio di me”, 16.12.2006, n. 50)
Lo studioso milanese mette a confronto Pinochet, il dittatore cileno, da sempre la bestia nera delle sinistre, con il despota cubano Fidel Castro, considerato un modello. Citando Sergio Romano scrive: Pinochet, “deve essere collocato nel suo contesto storico e, nei limiti del possibile, spiegato”. E Romano, in sintesi, descrive com’era l’America Latina, dopo la rivoluzione castrista del 1959, si oscillava fra avventure populiste, colpi di Stato militari, tentativi rivoluzionari e guerriglia urbana. Anche Respinti fa una breve analisi di come si giunse al Golpe militare dell’11 settembre 1973. Il Cile insorse, la popolazione scese nelle strade prima a manifestare il malcontento, poi a invocare l’intervento dei militari. Davanti alle caserme le massaie sbeffeggiavano i militari lanciando granturco urlando, “gallinos!”, “polli”, rimproverando la pavidità. Frei, il presidente DC, appoggiò l’azione di Pinochet. Secondo Romano, “Allende non sarebbe caduto così rapidamente se il putsch delle forze armate non fosse stato preceduto dalle clamorose proteste dei ceti sociali e delle categorie professionali (i camionisti ad esempio) che erano scesi in piazza per protestare contro una politica economica visibilmente sbagliata e una inflazione galoppante”. L’azione di Pinochet s’inquadrò nell’”Operazione Condor”, concertata con gli Usa per impedire la comunistizzazione dell’Iberoamerica.
Pinochet rimasto al potere fino al 1990, intanto il 5 ottobre 1988, aveva perso il Referendum per prolungamento del suo mandato (il 56% dei cileni gli votarono contro) e, quindi, a norma di Costituzione, indisse elezioni libere per l’anno successivo. Lasciò la presidenza l’11 marzo 1990, rimanendo Capo dell’Esercito fino al marzo 1998 e poi senatore a vita. Poi mentre era in viaggio a Londra, il giudice Garzon cercò di incriminarlo, ma tutto finì nel nulla. Certo dei 17 anni di governo militare cileno rimangono gli interrogativi delle uccisioni di 2.095 persone e di 1.102 scomparse. Poi però c’è il “miracolo del Cile”, anzi due, per Respinti. L’economia del Paese è stata risanata, dopo il disastro comunista di Allende. Infine, andrebbe letto il “testamento politico” del generale, per conoscere il suo pensiero, la rivista Cristianità lo ha pubblicato integralmente ne riparliamo prossimamente.

















