Sono tanti i commenti dopo l’assassino di Charlie Kirk, sul suo significato e sulle conseguenze, su quello che lui era e che rappresenterà, molti sono interessanti e illuminanti. Continuo a segnalarne qualcuno e inizio dall’accostamento che fa Marco Invernizzi tra Sergio Ramelli e Charlie Kirk.
Certo erano molto diversi: uno studente liceale colpevole di essere anticomunista, l’altro un militante conservatore, reo di mettere in crisi i suoi interlocutori di sinistra con il dialogo, che offriva a tutti. Uno un ragazzo, l’altro un giovane padre di famiglia, uno italiano l’altro americano. Entrambi, però, avevano in comune una ferma e coraggiosa opposizione al “sol dell’avvenire”, al socialcomunismo considerato inevitabile, ma che non avevano mai accettato. Entrambi avevano rifiutato di cedere senza combattere alla violenza dell’ideologia e così si sono schierati, hanno preso posizione pubblicamente, si sono esposti all’odio. Pertanto, Come 50 anni fa c’è chi semina odio. Bisogna evitare di cadere in una trappola mortale. (Ramelli e Kirk. Vittime dello stesso odio, 15.9.25, alleanzacattolica.org)
Invernizzi descrive gli anni ’70 quando è stato assassinato il giovane Ramelli: ovunque, “l’odio ti penetrava dentro”, “Penso che sia lo stesso odio che ha ucciso questo grande militante conservatore americano, che cercava di convincere il suo prossimo ad amare la vita e la famiglia, la patria e la giustizia, che certamente non odiava quelli che invitava ai suoi contraddittori, sempre pubblici e pacifici”. Un odio che cresce e ritorna, sia in America che da noi. Si rischia di tornare al livello degli Anni di piombo anche da noi, se non viene curato e fermato? Pare di sì. Così non è più accaduto dopo il trionfo delle ideologie. L’odio è diventato protagonista negli anni di piombo: allora si poteva l’omicidio di Sergio Ramelli, come è avvenuto per decenni, o di Charlie Kirk oggi, come si legge da tanti resoconti di questi giorni. Questo significa avere superato un confine.
“Oltre quel confine c’è soltanto la guerra – scrive Invernizzi. Una guerra terribile, non solo per bande come ai tempi di Ramelli, o per iniziativa di singoli assassini in un campus universitario, ma la guerra vera e terribile, come quella dell’esercito russo in Ucraina, a cui ci stiamo abituando senza esserci mai nemmeno indignati per un giorno”. E l’odio sembra dominare la politica internazionale, la volontà di conquistare territori altrui (vedi Taiwan) e di negare la libertà degli altri popoli (Hong Kong) sembrano essere il motivo dominante della sfida all’Occidente lanciata da Pechino poche settimane fa.
“Alla base di questa volontà di conquista c’è soprattutto l’odio. Se non si rinuncia all’odio, se ne rimane vittime. Infatti, l’odio produce le guerre, ma distrugge anche chi lo pratica, che viene consumato dal rancore che si porta dentro”.
Tornando agli Stati Uniti c’è un servizio che riprendo da Ifamnews.com/it, a proposito di odio, “Un parente del presunto assassino di Charlie Kirk, Tyler Robinson, 22 anni, si è fatto avanti affermando che il coinquilino transgender di Robinson “odia i conservatori e i cristiani”. Secondo la fonte, Robinson aveva una relazione sentimentale con questo coinquilino, che nell’ultimo anno si era espresso sempre più apertamente contro le credenze conservatrici e cristiane”. (Si è scoperto che coinquilino transgender di Robinson odia i conservatori e i cristiani, 16.9.25, IFN) Queste rivelazioni fanno luce sugli ambienti sociali e le influenze ideologiche che plasmano la violenza mirata. Questa storia solleva domande su come le relazioni personali, le camere di risonanza online e le politiche identitarie di sinistra possano manipolare i giovani e portare a esiti tragici”.
Inoltre, “esiste poi una responsabilità culturale. Le élite intellettuali che costruiscono narrazioni di pura delegittimazione devono iniziare a misurare le conseguenze delle proprie parole e azioni. Chi detiene responsabilità istituzionali non può limitarsi a condanne simboliche: deve dar prova di includere i non allineati, anziché isolarli e ostracizzarli platealmente, e deve collaborare con le autorità per esercitare un controllo attivo sulle reti di odio politico che attualmente operano nella impunità più assoluta”. (Spartaco Pupo, È tempo di difendere chi non è allineato col pensiero dominante, 17.9,25, Libero) Poi il giornalista di Libero invita il governo ad avere più fermezza e più rigore “contro i promotori, più o meno occulti, di liste punitive e campagne di odio, individuandone anche eventuali collegamenti con strutture istituzionali. Anche perché siamo tutti esposti. Dalla nostra reazione dipende se resteremo liberi di parlare o se la voce dissidente verrà estromessa dalla sfera pubblica, anche fisicamente, come purtroppo accade. Difendere la libertà significa anche smascherare chi la usa come copertura per la violenza organizzata”.
L’ultimo intervento lo riprendo da Il Foglio internazionale (Kirk e l’illusione del folle, 15.9.25) 20Cerco di fare una sintesi non facile, probabilmente merita essere letto integralmente. E’ un intervento, tradotto da Giulio Meotti, di Liel Leibovitz, direttore del Tablet americano. In pratica, per Liebowitz, Kirk “è stato ucciso perché grandi forze hanno passato decenni a rimodellare norme sociali e istituzioni e a creare vaste schiere di americani pronti a esercitare grande violenza contro chiunque venisse presentato loro come nemico”.
“Ma per fermare il prossimo sparatore – continua l’autore di ‘Come il Talmud può cambiarti la vita’ – dobbiamo prima capire da dove è venuto questo. E per circa 24 ore ci sono state offerte soltanto montagne di sciocchezze su questa domanda singolarmente cruciale”. Dopo le sciocchezze, “tutto quel che bisogna fare, allora, è trovarlo, prenderlo, scoraggiare altri dal farsi idee folli, e il nostro lungo incubo nazionale sarà finito”. Se siamo onesti e equilibrati, non è difficile capire che la tragedia era imminente. Non è accaduta in un vuoto ed è stata tutt’altro che un’anomalia. Infatti, poche ore prima dell’assassinio di Kirk la Foundation for Individual Rights and Expression ha pubblicato un sondaggio su 68.000 studenti in 257 università del paese; uno su tre ha detto che era accettabile usare la violenza in risposta a discorsi offensivi.
Domenico Bonvegna