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Cachet. Di Emanuele Torreggiani

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

Si strinse le spalle in un brivido trattenuto, avanguardia dell’inverno in avanzata dal profondo nord est e, rapita dal mulinello di polvere che le ventate abbozzavano, ella si riconobbe. Cenere alla cenere, polvere alla polvere, di lassù, la sua lontanissima infanzia, la voce fonda le sopraggiunse, dall’altare fumigante in una foschia di incenso e umidità. E lei che contava quante orazioni ancora per scappare di corsa a casa, dalla sua mamma, distesa sull’ottomana, il capo fasciato in uno scialle pungente di naftalina e la stufa di ghisa rovente, divorata dal mal di capo che la assillava ad ogni ciclo di natura. Resisteva per una notte e un giorno sino a quando, contandole in mano le poche lire dal borsellino, la mandava a prendere un cachet giù in farmacia. Lei partiva con le monete strette in pugno ed era già sulla ripida scala di pietra della ringhiera che le arrivava l’urlo a monito di non cadere, per non perdere il danaro.

 

 

Uscita dal cortile svoltava la via e traguardando destra e sinistra tagliava in diagonale il lastricato luccicante della via principale dove le automobili transitavano in traballo di scocche. La porta di ferro battuto, il vetro istoriato dai due serpenti simmetrici lei entrava nel tepore dello speziale che di là dall’alto bancone che lei sfiorava appena, nel candido camice, da sotto le lenti di occhiali d’oro la riconosceva aprendosi in un sorriso. Già sapeva. Lei lasciava le monete sul legno levigato da tempo immemore mentre il farmacista involtava una pastiglia biancastra in un francobollo di carta velina, trasparente che poi lei avrebbe colorato con il pastello azzurro e ritagliato nella forma di una stella per l’albero di Natale.

L’uomo le consegnava l’esiguo incarto mentre la mano sinistra affondava in un vaso panciuto, per i bambini buoni, e le deponeva nella mano racchiusa coppa una manciata di pastiglie Valda. Il profumo delle montagne che lei vedeva nelle belle giornate di vento, e mi raccomando, non mangiarle tutte in una volta. La piccola rientrava, la bocca rorida di pino, quello silvestre che nessuno sapeva spiegarle dove mai si trovasse. Così le parlò quel mulinello di polvere abbozzato da una folata di vento.

Emanuele Torreggiani

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