I castelli di Cannero emergono dal lago Maggiore come un maniero scozzese da un Loch, e in effetti, questa fu l’impressione che ne ricevette la regina Vittoria quando nel 1879 venne in Italia per recuperare la salute e curare l’animo dolente a causa della dipartita di Alice, una delle sue figlie. William Turner li dipinse decenni prima, evanescenti nella foschia, tanto che sulla tela paiono usciti dal regno di Avalon. Essi hanno dormito un lungo sonno, trasformandosi un poco alla volta in ruderi, ma il 28 giugno del 2025, dopo un atteso restauro ne è stata inaugurata la riapertura che ha ridato nuova vita a uno dei due edifici: la cosiddetta Rocca Vitaliana, mentre sullo Scoglio delle Prigioni dorme ancora il torrione, che ancora rimane una rovina romantica in attesa di ristrutturazione, visto che gli attuali proprietari, il principe Vitaliano XI e sua moglie Marina Borromeo Arese, hanno intenzione di usarla come residenza privata.
I castelli hanno quasi seicento anni di storia sulle spalle e, incredibile a dirsi, furono edificati da una famiglia di pirati: Lanfranco Mazzarditi, il padre, e dai suoi cinque figli: Giovannolo, Beltramino, Petrolo, Simonello e Antonio. Ma come poté accadere una cosa simile?
Quando nel 1402 Gian Galeazzo Visconti (di cui racconto l’ascesa al ducato di Milano nel mio romanzo “A bon droit”) rese l’anima a Dio a causa della peste, il suo sogno di creare un regno d’Italia svanì insieme a lui, e la sua dipartita lasciò la vedova Caterina coi due figli troppo giovani per occuparsi del mantenimento del ducato e quindi preda delle mire non solo dei suoi parenti stretti, ma anche delle signorie italiane.
In questo scenario vennero nuovamente a galla le rivalità tra guelfi e ghibellini e tra questi, nella zona dell’alto lago Maggiore, quelle tra i ghibellini Rusca e i guelfi Vitani. E siccome tra due litiganti il terzo gode, ne approfittarono i membri della famiglia Mazzarditi che, nel 1403, si impossessarono con la forza della cittadina di Cannobio insediandosi nel palazzo del Comune.
Aiutati poi da altri banditi come loro, si misero a rubare, danneggiare i coltivi, estorcere denari anche tramite la tortura, violentare, sempre allo scopo di arricchirsi velocemente; e questi crimini non si limitarono a farli sopportare ai cannobini, infatti, ebbero l’ardire (chissà se il cognome porta il nostro destino), di compiere atti di pirateria in tutto il Verbano. Ma poiché non tutti sono pecore, Locarno non solo si difese, ma contrattaccò, e così questi malviventi decisero che gli necessitavano delle fortezze e quindi ne fecero erigere tre, tra cui una su dei roccioni affioranti a 300 metri dalla costa, che chiamarono Malpaga.
Per erigerla usarono pietre prese dai terrazzamenti dei vigneti e quelle della residenza dell’odiata famiglia guelfa dei Mantelli, e legname che veniva dal taglio dei boschi comunali della zona. Ma ad un certo punto si resero conto che per continuare a compiere razzie, torture, stupri e altre nefandezze, avevano bisogno di qualcuno che li spalleggiasse e quel qualcuno lo trovarono nel secondogenito di Gian Galeazzo Visconti, ovvero Filippo Maria il quale, ventenne, era divenuto signore del ducato dopo l’assassinio del fratello Giovanni Maria organizzato da coloro che sostenevano gli eredi del prozio Bernabò Visconti.
I Mazzarditi lo aiutarono a sorvegliare il territorio sino a quando, recuperato il controllo del ducato Filippo Maria decise che era venuto il momento di disfarsi di quegli scomodi alleati, e così, nel 1414 inviò a Cannobio un esercito cui si aggregarono gli abitanti della zona ai quali, dopo così tante angherie, non pareva vero potersi vendicare, e in questo modo il duca riprese totalmente il controllo del Verbano. Uno dei fratelli, quello che stava alla Malpaga, finì in carcere nella rocca di Porta Romana e gli altri esiliati, ma poiché Filippo Maria non era un uomo crudele come il fratello, per una forma di gratitudine poi li perdonò, ma fece distruggere i manieri, però quello della Malpaga non completamente, tanto che quando poi i Borromeo divennero feudatari della zona, dopo alterne vicende sotto gli Sforza, gli elvetici e i francesi, Ludovico Borromeo sentì l’esigenza di avere una fortezza nella parte nord dei suoi domini.
E fu in tal modo che rinacquero i castelli di Cannero riedificati tra il 1519 e il 1529. Alterni poi furono gli avvenimenti che riguardarono questi edifici che gli Sforza volevano per sé e che i Borromeo difesero coi denti sino alla loro caduta, tanto che, all’arrivo degli spagnoli essi divennero loro fedeli sudditi. Rimasero in sella sino a quando un figlio di Ludovico: Giovanni Battista, uccise barbaramente la moglie a colpi di pugnale e per questo fu giustiziato, cosicché i suoi beni vennero posti sotto sequestro e da allora la rocca di Cannero venne affidata a castellani, e qui comincia progressivamente il suo declino e si arriva, tra tentativi di restaurarla e vandalismi, al Novecento.
Nel 2009, il principe Giberto VIII Borromeo fece aprire un primo cantiere per recuperare questo suo bene. Oggi, dopo il restauro, camminando per il tortuoso interno della rocca Vitaliana, nel dedalo delle petrose stanze, si possono ancora ammirare tracce di affreschi cinquecenteschi che mostrano donne intente a riparare reti, alberi fioriti, lapidi con epigrafi, stemmi con cavalli rampanti e motti, e infine, dall’alto delle torri è piacevole lasciare spaziare lo sguardo sulla corona verdeggiante dei monti prealpini punteggiati da poetici paesi e sulle azzurre acque tremolanti di luccichii che nella sfocata atmosfera lacustre, danno l’impressione di trovarsi in un bel sogno senza tempo.
Per informazioni: https://terreborromeo.it/castelli-di-cannero
In “A bon droit” potete leggere la storia dell’ascesa al ducato di Milano di Gian Galeazzo Visconti
A cura di Luciana Benotto