C’è un tema (irrisolto) di violenza tra i giovani, tra studenti e corpo docente? O c’è quella che qualcuno ha ribattezzato ‘emergenza educativa’? L’argomento divide, è dirimente, ma ormai da tempo è pressante nel dibattito pubblico. Ad Abbiategrasso, dopo la clamorosa aggressione a una docente dell’Itis rimasta ferita gravemente nel 2023, è accaduto nuovamente.
L’accaduto, di fatto ‘la notizia’, ha dato l’occasione al consigliere comunale, ex sindaco e docente universitario Alberto Fossati di svolgere, nel corso dell’ultima seduta di Consiglio, una riflessione estremamente profonda su quanto sta accadendo non tanto nelle aule scolastiche di Abbiategraso, ma alla società nel suo complesso. Le proponiamo in forma integrale, perché riteniamo non solo si tratti di un tema centrale, ma soprattutto perché sono parole capaci di entrare nel profondo, nel cuore del problema.
“Per la seconda volta in un ristretto lasso temporale gli istituti scolastici delle medie superiori della nostra città sono stati interessati da eventi di violenza di studenti a danno di docenti.
Forte è la tentazione di inquadrare questi episodi, come altri simili in altre scuole e in altre città, nel più vasto tema del disagio giovanile, quasi che siano l’espressione più esasperata di un sentimento di malessere che riguardi il mondo giovanile inteso come una sfera autonoma e a parte dal contesto sociale degli adulti.
Forse invece occorrerebbe parlare di una “questione adulti” che contiene quella giovanile, che porta a rovesciare il paradigma di partenza, perché la solitudine giovanile è la solitudine delle e nelle famiglie, è la solitudine nella e della società.
Tutti noi siamo attoniti e smarriti, ma per certi versi anche affascinati, dall’essere immersi in una delle più grandi trasformazioni dell’umanità, sfidati dalle tecnologie informatiche, dal progressivo affermarsi dell’intelligenza artificiale.
Queste grandi novità portano tuttavia con sé anche angoscia per i lavori che si deprezzano, per la perdita di sicurezza economica e di status sociale.
L’intero codice della superiorità dell’uomo sulle cose e sui mezzi è chiamato a confrontarsi con la tecnologia che esso stesso ha creato, ma ancor più dovrà fare i conti con tecnologie che sfideranno quella superiorità.
Le innovazioni scientifiche e tecniche ci hanno sollevato da pesi e impedimenti, ma hanno portato anche un carico aggiuntivo di solitudine nelle comunità virtuali che si relazionano soltanto per il tramite di un computer o di uno smartphone.
Il profondo delle nostre inquietudini germina dallo smarrimento del valore assoluto e intangibile della vita.
Questo smarrimento si acuisce davanti ad un diffuso sentimento convinto che l’innovazione scientifica e tecnologica ci renda sempre più a noi stessi bastevoli e, allo stesso tempo, quel sentimento di sicurezza disvela la sua fragilità, perché ci lascia inappagati, mostrando l’insufficienza del modello culturale predominante di valori materiali (Carron, Emergenza educativa, Milano 2013), che svilisce l’importanza dell’istruzione e della cultura, che fa dell’uomo un individuo solo in lotta con gli altri e con sé stesso, piuttosto che una persona che si rapporta con sé stesso e con gli altri in un dialogo sincero e crudo.
La crisi della nostra epoca è crisi di relazione, di dialogo, di attenzione verso il nostro prossimo che non è solo il vicino di casa, ma la persona, perché ognuno di noi è prossimo nell’umanità.
A questa esigenza di relazione possiamo dare il nome di “bellezza”.
Quando Dostoevskij scrive che la “bellezza salverà il mondo” si riferisce esplicitamente alla Verità rivelata dell’amore che ha vinto la morte, laicamente si può dire con il Card. Martini che: “La vera bellezza è negata dovunque il male sembra trionfare, dovunque la violenza e l’odio prendono il posto dell’amore e la sopraffazione quello della giustizia, Ma la vera bellezza è negata anche dove non c’è più gioia.” (Lettera pastorale 1999: Quale bellezza salverà il mondo?).
Perciò per creare bellezza abbiamo bisogno di dare e ricevere attenzione, di abbassare i toni delle discussioni, di abbandonare un linguaggio truce e molte volte volgare, abbiamo bisogno di ascoltare e di essere ascoltati, di rispettare e di essere rispettati.
Ma non è questo un compito della politica? È così difficile tornare ad essere più autentica?”