Il Natale dell’avvocato Covelli (e degli eterni fratelli Vanzina)- di Stefano Olivari

Fenomenologia di una pellicola divenuta culto

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Perché l’avvocato Giovanni Covelli ci tocca nel profondo? Il pomeriggio del 25 dicembre tutti citiamo obbligatoriamente la sua battuta più famosa in Vacanze di Natale, “E anche questo Natale… se lo semo levato dalle palle!”, in maniera quasi liberatoria. Da adulti anche di più.

Perché da giovani, le prime volte delle almeno 40 in cui abbiamo visto il film, nella realtà il Natale non era un peso: mangiavamo dicendo quattro stronzate, in ogni caso senza preparare, lavare i piatti e meno che mai pagare, giocavamo a tombola, alla roulette o a Risiko a soldi, e nella peggiore delle ipotesi andavamo in camera nostra in compagnia delle varie console del cuore, dal Ping-o-tronic regalo di Natale 1977 fino al Megadrive (la perfezione), passando per l’Intellivision (appena uscita la interessante Sprint, ma abbiamo l’originale ancora funzionante…) e il Commodore 64. Nell’era PlayStation, siamo arrivati alla 3 ma abbiamo appena regalato la 5 (sperando che…), eravamo troppo vecchi per scappare.

Ma dicevamo di Giovanni Covelli, interpretato magistralmente dal grande Riccardo Garrone, padre di Roberto-Christian De Sica, del simil-Malagò Luca-Marco Urbinati e di “Faccia da caciotta” (nel 1983 il tema del body shaming non era centrale) Diamante -Roberta Lerici, oltre che marito, nel film, di Rossella Como. Insomma, tutti sapete di cosa stiamo parlando. L’avvocato Covelli ci tocca nel profondo perché in tutte le scene in cui compare incarna l’uomo disilluso, non triste o negativo ma serenamente rassegnato, uno al quale nella vita è andata bene ma che proprio per questo percepisce l’assenza di senso di tutto. Senza sovrastrutture ideologiche o filosofiche ma così, instintivamente, per stanchezza, per avere visto e setito troppe volte le stesse cose. Anche Arturo Marchetti-Mario Brega è uno che ce l’ha fatta, che partendo dal niente ora si può permettere Cortina, la differenza è che lui ci crede.

L’arrivo a Cortina in Maserati con l’aria annoiata, accolto da Pupin (da non confondersi con Pasin, il padre di Evelina) subito pressato dalla moglie rompicoglioni, il pranzo leggendo il giornale nella speranza di non essere disturbato (“Levateje er vino” dice quando la moglie alza la voce o lo invita a intervenire con i figli), il rimprovero politicamente scorretto (“Moderno un par de palle!”) quando scopre Roberto a letto con l’iconico maestro Zartolin, l’uscita dal ristorante ringraziato dal maître (“Grazie, Carlo, Grazie… co’ ste botte, Grazie!”).

Tutte scene super, al primo, secondo e terzo livello di lettura dei Vanzina, anche se quella più emblematica è secondo noi quando Asuncion gli legge i programmi televisivi della serata, tutti delle reti Fininvest, all’epoca viste da chi voleva migliorare la propria condizione piccolo o medio borghese e non da un sottoproletariato contento di esserlo, carne tatuata da macello per la De Filippi (la vera intoccabile) o Signorini. Uno scambio meraviglioso quando la domestica legge “E naturalmente su Retequattro la commedia del del mese: Natale in casa Covello.

Lui la corregge un po’ scazzato, con la cultura da Settimana Enigmistica che già permette di sfottere gli inferiori: “Cupiello!”. E lei stravince, ma con amarezza: “Avvocato, era solo battuta! Natale mi dà il buonumore!”. Geniali Carlo ed Enrico Vanzina, anche nel far interpretare a una giapponese la parte di una filippina. Ma all’avvocato Covelli, e nemmeno a noi, importava. Erano gli anni Ottanta e un po’ ci sono ancora. Auguri da Indiscreto.

di Stefano Olivari, www.indiscreto.net

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