La bruttezza delle Chiese moderne. A cura di Domenico Bonvegna

"Le chiese moderne sono spoglie, quasi fossero sottoposte a una furia iconoclasta preventiva"

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Le nuove chiese, povere o costose che siano, appaiono spesso invivibili e prive di anima. Non è solo una questione estetica: il bello, ricordava già Platone, è parente stretto del vero e del buono. L’aspetto di un edificio sacro dice molto di ciò che siamo dentro.

Giuseppe Romano, sulle pagine de Il Domenicale, e Ciro Lomonte, nell’approfondimento “Perché le chiese sono brutte”, hanno denunciato una realtà preoccupante: l’inadeguatezza delle costruzioni sacre contemporanee. Non si tratta di un problema di stile, ma di un limite antropologico. Questi edifici rivelano l’incapacità di mettersi in rapporto reale con la trascendenza.

La chiesa non è un teatro
Romano scrive: «La Chiesa, per i cattolici, non è soltanto luogo dell’assemblea o delle relazioni. Se fosse così, si potrebbe tollerare che assomigli a stadi, teatri o stazioni della metropolitana». In realtà, la chiesa è innanzitutto il luogo della presenza fisica di Dio. La fede nell’Eucaristia dovrebbe far percepire a chi entra nello spazio sacro un “cielo aperto”, una dimensione diversa da quella mondana.

Eppure, chi oggi si sente affascinato o intimorito da quei casamenti sgraziati che affollano le nostre città? Ben diverso era il Medioevo, quando scalpellini anonimi scolpivano pietre invisibili agli occhi dei fedeli, convinti che ogni dettaglio fosse visto da Dio. Le cattedrali gotiche, da Colonia a Milano, erano un segno per l’intera città: Dio ci guarda.

Il rischio di impoverire i poveri
Alcuni sostengono che i soldi spesi per costruire chiese belle dovrebbero essere destinati ai poveri. Ma, osserva Romano, così si rischia di arricchire materialmente i bisognosi e impoverire spiritualmente tutti. Una chiesa brutta non consola, non eleva, non educa.

Monsignor Giuseppe Pullano, vescovo di Patti, fu criticato dai progressisti per il sontuoso Santuario di Tindari dedicato alla Madonna Nera. Eppure, la questione non è copiare il passato né indulgere in sperimentazioni scriteriate.

Il silenzio dei liturgisti
Secondo Lomonte, più che la sordità degli architetti pesa il silenzio dei liturgisti. Sono loro che dovrebbero spiegare cos’è e a che cosa serve il luogo di culto. Invece i fedeli si ritrovano condannati a frequentare chiese che somigliano a palestre, garage, supermercati o piscine. Ambienti che non favoriscono né la preghiera né la comunione.

La chiesa sembra ridotta a sala assembleare, come nelle comunità protestanti, dove lo spazio non è pensato per la presenza reale di Dio.

Da dove ripartire?
La risposta è duplice: gli edifici di culto devono essere belli e devono assolvere alla loro funzione liturgica. Oggi sembra che sia stato escluso il principio del decoro, indispensabile per progettare chiese cattoliche. Da qui la loro spoglia essenzialità, quasi frutto di una furia iconoclasta preventiva.

La riforma liturgica del Concilio Vaticano II, spesso fraintesa, ha contribuito a questa deriva. Ma il tema ci porterebbe lontano.

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