È tornata a parlare in televisione, e lo ha fatto senza filtri, Eva Kaili, ex vicepresidente del Parlamento europeo finita nel vortice del cosiddetto Qatargate. Ospite di Nicola Porro a Quarta Repubblica, la politica socialista greca ha raccontato il suo “calvario giudiziario”: quattro mesi di detenzione preventiva, giorni di isolamento, il gelo di una cella con la luce sempre accesa, la lontananza forzata dalla figlia di appena 22 mesi.
“Sono stata tenuta in isolamento per giorni, non ho potuto vedere mia figlia”, ha dichiarato Kaili, descrivendo un sistema giudiziario “spietato e disumano” che – a suo dire – avrebbe trasformato un’indagine ancora tutta da dimostrare in uno spettacolo mediatico globale.
La sua storia, che si intreccia a quella del compagno Francesco Giorgi, ex assistente parlamentare dell’eurodeputato Antonio Panzeri e originario di Abbiategrasso, è diventata uno dei casi più controversi di Bruxelles. Valigie piene di denaro, accuse di corruzione internazionale, presunti legami con il Qatar e il Marocco, confessioni e retromarce: un intreccio da spy story che, a quasi due anni di distanza, non ha ancora trovato risposte definitive.
“Mi minacciavano dicendo che mia figlia sarebbe stata portata via dai servizi sociali”, ha raccontato ancora Kaili, sostenendo che le accuse mosse contro di lei sarebbero state costruite “per alimentare i titoli dei giornali”. Un vero e proprio “teorema giudiziario”, come lo definiscono anche i giornalisti Lodovica Bulian e Giuseppe Guastella nel libro Il peccato di Eva, pubblicato da Fuoriscena (gruppo Rcs): un’inchiesta giornalistica che ricostruisce l’intera vicenda, tra piste internazionali, interessi politici e fragilità del sistema giudiziario belga.
A oggi, non esistono prove certe della presunta corruzione, e gran parte delle accuse si basano sulla confessione di Panzeri – poi beneficiario di una forte riduzione di pena. Un quadro che solleva più di una domanda sulla gestione del caso e sulle sue implicazioni mediatiche e politiche.
Non è mancata, durante l’intervista, una frecciata al centrosinistra europeo: “Hanno una solidarietà molto selettiva, basata sulla convenienza politica. Se fossi stata un’ungherese di opposizione, mi avrebbero difesa. Ma è successo in Belgio, e hanno preferito voltarsi dall’altra parte”, ha detto Kaili, riferendosi alla recente decisione del Parlamento europeo di salvare l’immunità di Ilaria Salis.
Così, la storia di Eva Kaili e Francesco Giorgi resta sospesa tra giustizia e spettacolo, tra verità e narrazione mediatica. Due vite travolte da uno scandalo giudiziario che – almeno per ora – ha distrutto carriere e reputazioni, senza che un processo abbia mai stabilito la colpevolezza o l’innocenza dei protagonisti.
Una domanda, a questo punto, è inevitabile:
siamo di fronte a un processo senza prove o a una gogna mediatica che ha già deciso i colpevoli?





















