”Noi, fino al suo arresto andavamo insieme al cimitero. Mi aspettavo sempre che ci dicesse: ‘Mi stanno indagando, ma non ho ucciso Chiara’. Invece non lo diceva mai. Era strano”. Lo ha detto Giuseppe Poggi, padre di Chiara, spiegando in un’intervista a Il Fatto Quotidiano quando ha capito che Alberto Stasi, condannato in via definitiva per l’omicidio della fidanzata, fosse colpevole.
I genitori della 26enne uccisa nella villetta di famiglia a Garlasco tornano anche al 13 agosto 2007, quando vennero avvisati della morte della figlia mentre si trovavano in vacanza a Falzes, in Trentino. Il padre racconta di essere andato a fare una passeggiata in montagna, in una zona in cui il telefono non prendeva, insieme al figlio minore, Marco. ”Quando arrivammo all’altezza del rifugio Fodara Vedla, il proprietario ricevette la telefonata dal soccorso alpino, ci disse di aspettare lì. Ma ci riferì che mia moglie si era sentita poco bene, non disse la verità su Chiara, per non darci angoscia”, racconta Giuseppe Poggi, che insieme alla moglie consegna a Il Fatto Quotidiano la lettera che il 31 agosto del 2007 ricevettero dal proprietario del rifugio, Arthur Mutschlechner. Una lettera in cui l’uomo ricorda ”gli occhi di un marito e un figlio in pena per la salute della mamma e moglie, non ancora consapevoli della dolorosa notizia che sarebbe stata comunicata loro poco dopo”.
Parole che dimostrano – dopo che nei giorni scorsi l’intervista all’albergatore di Falzes, pubblicata dal settimana ‘Giallo’ ha messo in dubbio che il fratello della vittima fosse in Trentino il giorno dell’omicidio che ”io e Marco quel giorno eravamo insieme in montagna con amici”, sottolinea il padre. ”Era inimmaginabile che nostro figlio potesse essere accusato di aver ucciso sua sorella”, dice la mamma, Rita Preda. Quanto alla nuova inchiesta della procura di Pavia, che vede indagato Andrea Sempio, amico di Marco, per omicidio in concorso, ”facciano tutti gli accertamenti”. ”Verifichino tutto così non riaprono di nuovo l’indagine tra qualche anno”, aggiunge il marito, precisando che ”non è che noi non vogliamo la verità.
Per noi la verità è quella stabilita dalla legge”. Una richiesta poi ai giornalisti: ”Vorremmo un po’ più di silenzio, noi da marzo siamo stati catapultati in una situazione perfino peggiore di quella di 18 anni fa. Spero che finisca tutto presto, abbiamo diritto a vivere tranquilli”, conclude Rita Preda.