Tennis: hey Jas, cosa ci hai combinato! Di Teo Parini

L'exploit di Jasmine Paolini, che entra nel gotha della classifica mondiale

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La partita di finale contro la giovane russa Anna Kalinskaya dice molto del tennis, innanzitutto, e di Jasmine Paolini in particolare. Per quanto concerne il gioco pensato da Walter Clopton Wingfield, la conferma della schiacciante supremazia della mente sul braccio e della concretezza sul sensazionale. Che potrà fare storcere il naso a qualcuno ma è una delle leggi non scritte e inviolabili del tennis moderno, quella che fa preferire sempre la formica alla cicala. Gran bel talento quello di Anna, per la verità, una che ha la follia intrinseca nel DNA e che la porta ad interpretare una maratona tennistica col piglio del centometrista, quindi avanti tutta fin da subito e su ogni punto. Il colpo vincente come ragione dell’esistenza, l’artiglieria quale grimaldello per vincere la guerra ma, spesso, senza copertura aerea, usando una similitudine cara alle battaglie meno simpatiche.

Poi, al di là della rete, c’è Jas e quelle come lei, appunto, sembrano fatte apposta per mettere i puntini sulle i, oltre che le cose al loro posto; tennista che, al contrario della russa, fa della pedagogia tennistica la risposta alla verve delle avversarie. Un condottiero avvezzo alla tormenta, marinaio che in porto la barca la conduce qualunque cosa accada e, contestualizzando alla disciplina del diavolo, atleta con la spiccata capacità di soffrire le pene dell’inferno senza più di tanto scomporsi. Jas – tornando all’incipit – è il bello dello sport che sa sempre lasciare uno spiraglio a chi come lei, per arrivare in alto dovendo sopperire ad un talento che non è propriamente quello da prima della classe, fa un lavoro bestiale. Sublimazione dall’abnegazione. Insomma, Jas è una depositaria delle meravigliose storie dell’anatroccolo che finisce per diventare cigno, grazie ad un cuore e ad una passione grande così.

E la conferma, ancora un’altra, che affidare le chiavi della propria crescita ad un team umile, caparbio e preparato, e abbandonarsi ad esso senza riserve, significa nella peggiore delle ipotesi una cosa: esprimere di sé la più luminosa versione possibile. Nella migliore, invece, diventare come Jas, dunque una campionessa. Quindi, brava la toscana a non cedere al beneficio del dubbio nei momenti difficili e bravo Furlan – il Renzo del tennis anni Novanta, quello tignoso e dal bel rovescio monomane – a lavorare sodo senza distogliere lo sguardo dall’obiettivo. Con lungimiranza, perché il sodalizio risale ormai alla notte dei tempi quando Jas, oggi ventottenne, di anni ne aveva appena quindici e la scommessa ancora tutta da vincere.

E da domani, alla consueta compilazione delle classifiche, Paolini sarà la numero quattordici del ranking mondiale, appena l’ottava tennista italiana a riuscire nell’impresa di issarsi così in alto. Appena la terza, invece, a vincere un torneo WTA 1000, come è riuscita a fare a Dubai questa settimana, il motivo per il quale la stampa italiana finalmente s’è accorta di lei. Non è mai troppo tardi, verrebbe da dire. Prima, solo Pennetta e Giorgi hanno messo in bacheca un torneo che, per importanza, arriva appena un gradino sotto gli Slam come quello della capitale dell’omonimo emirato, finito appannaggio di Paolini al culmine di una settimana irripetibile. Mix, come sempre accade in questi casi, di voglia, bravura e fortuna, che non guasta mai. Perché, già al primo turno, Jas sembrava dover anticipare il rientro a casa quando, contro la valorosa Haddad Maria, si è trovata in ritardo di un set e con la necessità di fronteggiare due palle per non sprofondare sotto di due break di ritardo nel secondo parziale. O quando, succede e non c’è di che vergognarsi, ha potuto beneficiare del ritiro di Rybakina nei quarti di finale. Il resto, però, è tutta farina del suo sacco: gli scalpi di Fernandez, Sakkari e Cirstea senza perdere nemmeno un set, per esempio, e la rimonta finale contro Kalinskaya, al termine di una di quelle battaglie sul filo dei nervi la cui sceneggiatura sembra scritta apposta per esaltarla.

Jasmine ha subìto la partenza a razzo della russa in tutti e tre i parziali. Correndo come una matta su ogni palla e, al contempo, mantenendo alta concentrazione e determinazione, consapevole che prima o poi l’occasione buona da prendere al volo sarebbe passata. Così, agguantata sul cinque pari nel set decisivo l’avversaria via via più attanagliata dalla paura, foriera di scelte cattive ed esecuzioni ancora peggiori, il destino di una giornata destinata ad entrare nell’album dei ricordi più cari del tennis azzurro era ormai immutabile. Sempre a proposito di pedagogia tennistica. Papà italiano e mamma di origini afro-polacche, Jasmine nasce a Bagni di Lucca, Toscana, nell’inverno del ’96 ed è ormai una decade che calca i campi di mezzo mondo. La sua è stata una crescita lenta e inesorabile, un percorso formativo meticoloso grazie al quale Jas, ad ogni sconfitta, ha aggiunto un pezzettino in più al suo tennis. L’exploit, magari non di questa portata, era nell’aria già da un po’ e i primi ottavi di finale centrati in uno Slam a Melbourne poche settimane fa, uniti alle buonissime prove in nazionale, facevano proprio pensare che qualcosa di buono fosse lì da dover venire. Nel tennis non si inventa nulla, ogni traguardo ha a monte un’idea e un percorso fatto di tappe che non possono essere bypassate, e in tal senso l’impressione era quella che Paolini avesse raggiunto una maturità tennistica tale da poter capitalizzare il lavoro svolto. Senza la potenza di una Sabalenka, lei che non arriva al metro e sessantacinque, o il talento sconfinato di una Muchova o di quelle baciate dagli dèi che danno del tu alla pallina, Jas, con l’aiuto fel suo team ha messo a punto un piano di crescita tattica e tecnica rispettoso delle sue peculiarità, mica poche, e dei suoi limiti. Con intelligenza, fino a tagliare il traguardo.

È davvero un momento d’oro quello del tennis italiano. Dopo il primo titolo Slam per Sinner e il ritorno in Italia della Coppa Davis, che mancava a queste latitudini dal ’76, anche le ragazze riprendono a fare la voce grossa. Jas, giusto dirlo, difficilmente potrà fare meglio di così, che significherebbe raggiungere Pennetta e Schiavone nell’Olimpo delle vincitrici di un Major, ma, nel caso, saremmo i più felici di esserci sbagliati. Peraltro, noi che gli almanacchi interessano giusto il minimo di sindacale, preferiamo sottolineare la parabola umana e sportiva, speso la stessa cosa, della nostra Jas. Una storia bella da raccontare perché aggiunge prestigio al nostro sport preferito. Se possiamo definire la bellezza come la capacità di appagare l’animo attraverso i sensi, ecco che Jasmine Paolini, pur senza la volée di Novotna o il rovescio di Henin, è, a modo suo, bellezza allo stato puro. Perché nel vederla lottare come un leone, palla dopo palla, il nostro animo più che appagato è in estasi. Complimenti piccola Jas, benvenuta tra i grandi.

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